Michela Nacci

Non solo fascista. Corporativismi fra le due guerre

ALESSIO GAGLIARDI, Il corporativismo fascista, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. XII-193, € 18,00

 

Che possiamo dire ancora sul corporativismo fascista? Verrebbe da rispondere che c’è molto, moltissimo. Forse l’essenziale. Il tema è stato abbastanza studiato dai giuristi e abbastanza poco, invece, dagli economisti. I primi hanno offerto commenti raffinati alle modifiche che il corporativismo introduceva rispetto alla precedente normativa sulle contrattazioni e i conflitti del lavoro, e poi hanno smesso di occuparsene. I secondi hanno commentato l’impatto del corporativismo sull’economia italiana del periodo, ma in maniera timida e disorganica. Gli storici se ne sono sbarazzati in fretta, ritenendolo un falso problema: perfino all’interno del fascismo il corporativismo è stato trattato con l’aria annoiata di chi ritiene che non sia molto importante. Si ritiene infatti, in modo abbastanza concorde, che l’impianto giuridico corporativo creato dal regime fascista non abbia avuto nessun effetto né sull’economia né sui rapporti fra operai e padronato, né infine sulla trasformazione della politica, che avrebbe dovuto essere il suo obiettivo più ambizioso e ultimo.

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