Dan Chiasson

Boyhood: rendere reale quello che non possiamo vedere

da ''The New York Review of Books''

CINEMA: Dan Chiasson recensisce il film Boyhood, di Richard Linklater. Realizzato nel corso di dodici anni  a partire dal 2002, il film racconta la crescita di un ragazzo, Mason (interpretato dall'attore Ellar Coltrane) dall'età di sei anni fino ai diciotto.

Boyhood, un film di Richard Linklater

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Il nuovo film di Richard Linklater, Boyhood, è stato filmato nel corso di dodici anni, per pochi giorni ogni anno, a partire dal 2002. L’attore che interpreta Mason Jr. (il “boy” del titolo), Ellar Coltrane, aveva sei anni all’inizio di questa maratona;  alla fine del film ne ha diciotto, il suo tenero volto da fanciullo è diventato scarno e spigoloso. I dodici anni sono passati anche sui veri volti e corpi di Lorelei Linklater, figlia del regista, che interpreta la sorella maggiore, di Ethan Hawke, il padre separato, e di Patricia Arquette, la problematica madre, come sono passati anche per gli oggetti di scena, gli abiti, le canzoni e i modi di parlare. Harry Potter e Twilight sono arrivati e sono passati, come John  Kerry e John McCain; “videogiochi” cedono il passo al Game Boy prima di fare posto all’Xbox e all’iPhone. Solo un frammento di ogni fotogramma di questo film è “fiction”, e qualche volta questa sembra la parte meno importante.

Ellar Coltrane

Ellar Coltrane

È un luogo comune dire che il tempo si muove ora più rapidamente di quanto facesse, diciamo, dodici anni fa: l’informazione è, come si usa dire, supercompressa, per esempio attraverso sms e tweet, “l’aggiornamento delle notizie” si è ridotto da un giorno a un’ora fino a un minuto, le mode divampano e spariscono in un battito di ciglia. Ma dodici anni rimangono sempre dodici anni se misurati sul volto di un uomo. Boyhood è, tra molte altre cose, una celebrazione della maestosità del tempo al di là della frenesia e degli spasmi dell’esperienza contemporanea. L’unica costante di questo film è il film stesso, ora  mezzo di comunicazione antico se paragonato al suo ultimo rivale. Sono passati ormai quasi 120 anni da quando i fratelli Lumière proiettarono il loro film sull’arrivo del treno nella stazione di Ciotat. Il cinema, un tempo molto ingenuo, ora sa di più di quanto sappiano i suoi soggetti; li ha visti venire e andarsene, e li osserva con una sorta di pietà nata dall’essere sopravvissuto ad ognuno di essi. 

Ogni film che fa qualcosa di anche solo minore o bizzarro per la prima volta, carica sui suoi soggetti inventati l’intera storia del cinema. La lunghezza di Boyhood (dura quasi tre ore) e la sua dimensione privata rimandano  a lavori molto personali come la serie di documentari Up di Michael Apted o Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, ma la follia di lavorare con gli stessi attori sullo stesso film per dodici anni, rimanda a grandi, folli stravaganze cinematografiche come Rapacità di Erich von Stroheim, come Napoleon di Abel Gance, come Fitzcarraldo di Werner Herzog, o come Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. Questi film documentano tutti le accidentali conseguenze della loro ambizione: la storia dietro le quinte sia di Fitzcarraldo che di Apocalypse Now furono trasformate in documentari più appassionanti dei film originali.

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