Massimo Pedretti

Homo sapiens, il predatore distruttivo

IAN TATTERSALL, I signori del pianeta. La ricerca delle origini dell’uomo, Torino, Codice Edizioni 2013, pp. 295, € 15,90

SCIENZA: L’uomo nel corso dei secoli è stato in grado di garantire la sua sopravvivenza grazie anche alle innovazioni scientifiche in campo medico e tecnologico, e gli scienziati assicurano che fra mezzo secolo saremo in grado di deviare asteroidi diretti sul nostro pianeta e in grado di farci estinguere come i dinosauri. Ma chi ci salverà dal nostro nemico più pericoloso, ovvero noi stessi?

Tra alcune centinaia di anni, quando astronavi terrestri sfrecceranno negli spazi siderali alla ricerca di pianeti da colonizzare per reperire materie prime o per cercare caratteristiche compatibili con la nostra vita, qualcuno sottolineerà l’innata predisposizione dell’Homo sapiens alla curiosità, alla sfida, all’espansione e alla conquista. Non si tratta di fantascienza. È una delle ipotesi scientifiche che fanno studiosi del calibro di Sthephen Hawking, il celebre fisico teoretico autore di saggi e conferenze che ha saputo tanto coinvolgere anche i “non addetti ai lavori”. Nello stesso periodo, in uno scenario completamente diverso, il genere umano potrebbe invece essersi ridotto a vivere in un devastante scenario da post civiltà ormai sulla via dell’estinzione. Anche questa è un’ipotesi suffragata da molti seri scienziati se non cambieranno i nostri stili di vita.

Com’è possibile che sul nostro pianeta, dominato per 160 milioni di anni da grandi rettili, in soli 200 mila anni (dalla comparsa dell’Homo sapiens) un mammifero evoluto abbia determinato una potenziale catastrofe del genere? La novità che viene dal mondo della ricerca scientifica, e che tanto sta facendo discutere, riguarda il nostro cervello: un marchingegno straordinario messo a punto dalla natura che ci ha permesso di realizzare cose davvero uniche ma che – pesante limite – è in grado di immaginare in anticipo solo le conseguenze più immediate delle proprie azioni, incapace com’è di prevedere e soprattutto agire su ripercussioni e rischi a lungo termine. Ciò – viene spiegato – è perfettamete normale e in accordo con il disordinato accrescimento del cervello umano verificatosi nel corso della nostra storia. Alcune delle più recenti (dal punto di vista evoluzionistico) componenti cerebrali parlano una con l’altra attraverso strutture molto antiche, in un organismo messo insieme con opportunismo dalla natura nel corso di centinaia di milioni di anni e in contesti ecologici diversi. Tanto da rendere pertinente domandarci, a questo punto, se il progetto evolutivo del nostro cervello ci abbia condannati a seguire la via autodistruttiva.

 

Quando tutto ebbe inizio

La storia di come siamo diventati umani è molto lunga. Le scimmie antropomorfe, come ad esempio gli scimpanzé, sono i nostri parenti più stretti nella biosfera e condividono con noi un antenato “recente” che visse circa 7/8 milioni di anni fa. In un tempo così breve (se paragonato alle ere del pianeta) nessun’altra linea di discendenza animale è cambiata tanto quanto la nostra. La storia di questa evoluzione – che ci ha visto lasciare sugli alberi i nostri antenati antropomorfi – è forse la vicenda più affascinante che la nostra specie abbia vissuto fino ad oggi.

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