Walter Kaiser

I nobili sogni di Piero

da ''The New York Review of Books''

Piero della Francesca in America, mostra alla Frick Collection, New York, 12 febbraio – 19 maggio 2013. Catalogo della mostra a cura di James R. Banker e Machtelt Israëls, con un’appendice a cura di Giacomo Guazzani ed Elena Squillantini, Frick Collection, 149 pp., $27.50

ARTE: Walter Kaiser recensisce la mostra della Frick Collection dedicata a uno dei più grandi artisti del quattrocento italiano: Piero della Francesca

Perché Piero della Francesca è così diverso dagli altri artisti del quattrocento? Più a lungo si guarda il suo lavoro, e più inevitabile diventa la domanda. Questo ossessiona lo spettatore della mostra in corso alla Frick Collection, dove sono stati portati più quadri di Piero in una stessa stanza che in ogni altro luogo, eccetto Arezzo. I sette quadri in questa mostra, quattro dei quali appartengono alla Frick, non sono tra le opere più importanti di Piero, ma rappresentano bene i suoi risultati. Quattro di questi sono capolavori, e questa eccezionale opportunità di vedere così tanti quadri dipinti da Piero in una sola volta è istruttivo.

Vari tentativi sono stati fatti per spiegare le qualità uniche di Piero dalla sua “riscoperta” nel diciannovesimo secolo, molti dei quali perspicaci. Inizialmente, John Addington Symonds, dichiarò che «per la dignità del ritrarre, per l’elevatezza dello stile e per una certa poetica solennità dell’immaginazione, lui aveva sollevato se stesso al di sopra del livello della massa dei suoi contemporanei1». Naturalmente, Piero era anche debitore nei confronti di alcuni di questi contemporanei, e la sua relazione con fiorentini come Domenico Veneziano e Paolo Uccello, così come con gli artisti fiamminghi, è stata da lungo tempo riconosciuta. Tuttavia per molti aspetti l’influenza degli altri sul suo lavoro sembra essere sostanzialmente minima, e qualcuno potrebbe argomentare che lui fosse in grande misura debitore dell’architetto e umanista Leon Battista Alberti, piuttosto che di ogni altro pittore precedente. Cos’è allora che lo rende così separato dai suoi contemporanei?

L’uso innovativo di Piero nella pittura ad olio e la sua perfezione nella prospettiva sono due qualità che sono state spesso discusse, così come lo è stato il suo uso del colore per esprimere la forma, e la sua abilità per evocare lo spazio. La sua fenomenale maestria nella luce e la sua descrizione che toglie il respiro spesso sono ugualmente state notate2. Ma la singolare importanza di Piero nella storia della pittura paesaggistica è stata, per quanto io ne possa essere conscio, raramente apprezzata in modo adeguato; nonostante i suoi paesaggi siano alcuni dei più completi, evocativi ed innovativi nell’arte italiana prima di Giovanni Bellini.

Inoltre v’è la fredda, inespressiva, qualità dei suoi quadri, che lo distingue così nettamente dagli altri pittori. Bernard Berenson scrisse, ed è molto noto, sull’ “inarticolato” in Piero, dichiarando che «egli sembra essere stato contrario alla manifestazione del sentimento, e pronto ad andare più in là possibile per evitarlo»3. «Il canto silenzioso dell’aria e le immense pianure sono come un coro contro cui la drammatica personae di Piero rimane silenziosa», dice il poeta polacco Zbginiew Herbert4. C’è anche una serena immobilità che caratterizza i suoi personaggi, che lo distingue da ogni altro pittore del suo tempo. Queste qualità, nell’espressività e nell’immobilità, sono state meravigliosamente sviscerate da Herbert, il mio scrittore preferito su Piero:

 

Il principio di tranquillità non giace semplicemente nell’equilibrio architettonico. È un principio di ordine interiore. Piero capì che l’eccesso di movimento ed espressività distruggono lo spazio visuale dipinto e comprimono il tempo della pittura nella scena di un momento, un flash di esistenza. I suo stoici eroi sono costretti e impassibili. Le vite fermate, il colore della prima alba terrestre, l’ora non ritratta, danno alle cose che Piero crea, una indistruttibilità ontologia5.

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