John Gray

I pericoli della democrazia

da ''The New York Review of Books''
POLITICA: John Gray recensisce il saggio del docente di politica di Cambridge, David Runciman, libro che analizza la storia della democrazia (e delle sue crisi) dalla Prima Guerra Mondiale a oggi.
DAVID RUNCIMAN, The Confidence Trap: A History of Democracy in Crisis from World War I to the Present, Princeton University Press, PP. 381, $ 29,95

«Per la maggior parte di noi», scrive David Runciman, «la democrazia è ancora l’unico gioco in città» (modo dire americano che significa “l’unica scelta”). Professore di politica a Cambridge, noto per il fatto di mostrare come proposizioni apparentemente contraddittorie possano avere senso in politica, Runciman dice che le democrazie sopravvivono alle crisi senza avere alcuna idea chiara di come possano governare questa impresa. L’esperienza del superare difficoltà apparentemente ingestibili rappresenta un pericolo, poiché spinge i leader democratici e l’opinione pubblica a immaginare di poter comprendere il loro passato e prefigurare il loro futuro, quando in realtà spesso manca loro l’abilità di fare ciascuna di queste due cose.

Tuttavia questa pericolosa fiducia in sé stessa può anche essere utile: se la fede nel fatto che le democrazie abbiano l’abilità di prefigurare il futuro è un’illusione, essa però le ha rese in grado di far fronte alle sfide che avevano davanti:

All’inizio del ventesimo secolo la democrazia era una forma di politica assolutamente non sperimentata e non testata. Aveva sollevato forti speranze e altrettante forti paure. Nessuno sapeva veramente a cosa avrebbe portato. Ogni crisi era attesa come l’ultima. Ma col tempo e attraverso una successione di crisi, la democrazia si è diffusa, si è rafforzata ed è diventata più duratura.

 Questo è il paradosso che si accompagna a ciò che Runciman descrive come la trappola della fiducia in sé stessa della democrazia.

 

Asserendo che la democrazia «vive in uno stato semipermanente di crisi che rende difficile sapere quando una crisi debba essere presa sul serio», Runciman passa in rassegna «sette anni critici»:

  •  1918, quando la democrazia dovette affrontare le conseguenze catastrofiche di una guerra imprevista;
  •  1933, quando dovette superare una recessione globale;
  •  1947, quando l’Europa stava per essere divisa e la guerra fredda si stava sviluppando come conseguenza della Seconda Guerra Mondiale;
  •  la crisi dei missili a Cuba nel 1962;
  •  la crisi petrolifera e la stagflazione del 1974;
  •  il trionfalismo di breve vita del 1989;
  •  e la crisi finanziaria del 2008.
La caduta del Muro di Berlino

Caduta del Muro di Berlino

Egli non crede che si possa ricavare qualche chiara lezione da questi episodi. A noi piace pensare alle crisi come a momenti di verità; ma se qualcosa emerge dallo scorso secolo, è il fatto che la democrazia ha trionfato quasi involontariamente. La storia della democrazia è un capitolo di eventi il cui significato non può mai essere del tutto chiaro: «è un racconto basato sul caso e la confusione».

Nel pensare la democrazia in questo modo, Runciman vede sé stesso come seguace di Alexis de Tocqueville, l’aristocratico e parlamentare francese dell’inizio del diciannovesimo secolo, dal cui volume Democrazia in America (pubblicato in due volumi nel 1835 e nel 1840) Runciman crede che abbiamo ancora molto da imparare. «La persona che per prima ha notato il carattere distintivo dell’arroganza democratica – come essa sia coerente con il dinamismo delle società democratiche, e come la adattabilità democratica si faccia accompagnare dal vagare democratico – fu Tocqueville». Tocqueville, né ottimista né pessimista, «non condivideva né le preoccupazioni dei critici tradizionali della democrazia né le speranze dei suoi sostenitori moderni». Anche Runciman non condivide queste preoccupazioni o speranze, e tuttavia con Tocqueville sembra convinto che il sorgere della democrazia sia un grande evento politico della modernità.

La ricchezza e freschezza del suo libro sarà di grande interesse per chiunque sia spiazzato dalla quasi paralisi che sembra ora affliggere il governo democratico in molti paesi, non ultimi gli Stati Uniti. Il racconto di Runciman del meccanismo della trappola della fiducia – il credo che la democrazia sopravviverà sempre – servirà come antidoto contro gli atteggiamenti di allarme e trionfo da cui sono regolarmente catturati coloro che scrivono sulla democrazia. Ma la trappola della fiducia non è la sola caratteristica paradossale della moderna democrazia, e non sempre la più importante. Un’altra sta nella relazione ambivalente della democrazia con i valori liberali.

Alexis de Tocqueville

Alexis de Tocqueville

Attualmente la democrazia è vista come l’incarnazione della libertà individuale e del pluralismo sociale, ma il legame con questi aspetti può essere più tenue di quello a cui molta gente piace credere. Runciman pare avere poco tempo per i critici della democrazia del mondo antico, coloro che la temevano come un tipo di tirannia della maggioranza, o per i liberali del diciannovesimo secolo come John Stuart Mill, che ebbe uno scambio epistolare con Tocqueville e che ammirava molto il pensatore francese – che riformularono questi dubbi in termini moderni. Ma questi pensatori, con i successivi liberali della stessa tradizione come  Isaiah Berlin, sottolineavano una realtà che noi dimentichiamo a nostro rischio: la democrazia, stabilita come regola da una maggioranza eletta, e i valori liberali come la libertà personale, non sono la stessa cosa.

Per alcuni, la democrazia dovrebbe essere definita in primo luogo come libertà e diritti individuali da proteggere, includendovi la libertà di parola e di stampa e delle minoranze, altrimenti non sarebbe democrazia ma una specie di regola maggioritaria. Altri hanno inteso la democrazia come un tipo di autogoverno collettivo, la cui efficacia e funzionamento possono richiedere la salvaguardia di alcune libertà importanti ma ciò non significa di tutte quelle che sono care alla tradizione liberale. Nel riconoscere questa distinzione, Runciman pende verso il secondo punto di vista, ma evita di esplorare l’implicazione inevitabile di questo: la democrazia si manifesta in numerose varietà, alcune delle quali decisamente illiberali.

La vecchia scuola dei pensatori liberali a cui appartengono Tocqueville e Mill valutava la democrazia principalmente come un mezzo per altri fini, come la libertà e la promozione dell’individuo. Runciman sembra pensare alla democrazia come buona di per sé, mentre la ritrae in modo da non includere importanti libertà liberali. Come risultato lascia non chiarito il perché la democrazia dovrebbe essere considerata così positivamente, indipendentemente dal fatto che ci siano molte persone che sembrano volerla.

Uno dei limiti dell’analisi di Runciman è che ha scelto di lavorare nella dicotomia tra democrazia e altre forme di governo. «In questo libro», scrive,

ho definito il contrasto fondamentale tra democrazia e “autocrazia”, facendo riferimento al loro uso attuale. Con democrazia intendo qualsiasi società che abbia elezioni regolari, una stampa relativamente libera e una competizione aperta per il potere. Queste società sono spesso definite come “democrazie liberali”, benché alcune siano più liberali di altre. Con autocrazia  intendo qualsiasi società in cui i leader non affrontano elezioni aperte e in cui il flusso libero di informazioni è soggetto al controllo politico…Alcune autocrazie sono dittature e altre no. Alcune sono più autoritarie di altre.

Il problema con questa tipologia binaria è che combina distinzioni di genere con differenze di grado. L’Arabia Saudita e il regime post-Maoista cinese possono entrambe essere autocrazie nel senso inteso da Runciman, ma hanno poco in comune. La seconda è uno stato autoritario in corso di modernizzazione, mentre la prima è una monarchia basata sul clan (costruita nell’era coloniale) che mira a puntellare un modello di vita arcaico. Entrambe sono molto differenti dai regimi dittatoriali degli stati quasi falliti, come il regime di Duvalier ad Haiti, che sospendono le elezioni e le libertà di espressione, ma hanno scarsa capacità di definire la direzione generale della società. Tutti questi regimi sono molto differenti dal tipo di autocrazia che esiste nella Corea del Nord, in cui la libera espressione non è tanto impedita, come in Cina, quanto resa impossibile da un sistema in cui il potere statale è pervasivo.

Questo contenuto è riservato ai soli membri di Annuale Online
Accedi Registrati.
Print Friendly, PDF & Email
Invia una mail per segnalare questo articolo ad un amico