Bryan Robertson

Il teatro di Hopper

da ''The New York Review of Books''

Articolo dall’archivio storico di ‘The New York Review of Books’. Questo pezzo è stato pubblicato il 16 dicembre del 1971.

Lloyd Goodrich, Edward Hopper, New York, pp. 308, $ 50.00

Edward Hopper fra critiche e apprezzamenti: dall’archivio della ‘New York Review of Books’ un articolo del 1971 esplora la vita e l’opera di questo pittore statunitense del primo Novecento; un pittore realista che ha riprodotto scorci, angoli e vedute di New York e dei paesaggi americani con un taglio sempre particolare, fotografico, tanto che il suo stile e le sue opere sono state fonte d’ispirazione per i direttori di fotografia del cinema americano degli anni Trenta.

Tre lunghe strisce sottili si distendono in un soffuso grigio-viola contro un tramonto luminoso: il cielo rosa intenso e oro domina tutto il paesaggio mentre la terra sottostante si smussa dolcemente, assumendo un andamento pianeggiante lungo la bassa linea dell’orizzonte, e si riempie delle ombre scure gettate dagli ultimi momenti del tramonto, quando anche l’erba vira verso un colore livido e cupo. La luce che si dissolve risplende sulle rotaie squarciando il panorama deserto. Non ci sono alberi o segni di attività umane. In questa quiete desolata, l’unico elemento che crea un contrasto con le linee orizzontali dei binari, con l’orizzonte e con le nuvole in lontananza è la struttura solitaria e verticale di un casello ferroviario che si erge verso l’alto, con la punta che si staglia nitidamente contro un cielo in movimento, e la sua base si fonde con il terrapieno ombroso del paesaggio. Vicino al casello, in primo piano, è una piccola colonnina che si confonde nel fitto crepuscolo; sul lato più lontano delle rotaie, un alto palo taglia il cielo con le sue targhe segnaletiche. La scena è sontuosamente dolorosa, e minacciosa: quel selvaggio tramonto sta per perdere il suo barlume di luminosità da un momento all’altro, la luce presto sparirà e tu, l’osservatore, rimarrai solo.

Questa scena non poteva che essere stata dipinta dall’artista americano Edward Hopper. Nella loro ordinarietà, i dettagli che la compongono sono caratteristici del mondo urbano industrializzato del ventesimo secolo; ma l’uso che ne fa Hopper è unico perché nessun altro artista di statura paragonabile li ha impiegati in maniera così precisa, come se fossero dei veri e propri personaggi teatrali di un dipinto, senza operare astratte metamorfosi in oggetti metafisici, decorativi o surreali. Il risultato di Hopper nella realizzazione di Railroad Sunset (1929) è particolarmente notevole perché è riuscito a intrappolarvi la sensazione di una scena che risulta familiare per chiunque appartenga al mondo occidentale. L’ambientazione del dipinto è americana, probabilmente il Maine o Cape Cod, ma l’atmosfera di desolazione creata da Hopper, così come il senso di minaccia che viene dall’approssimarsi della notte in un posto deserto, sono parte dell’esperienza contemporanea in se stessa. Hopper è stato più che un semplice cronista: al suo apice, è stato un regista teatrale ispirato che è riuscito a catturare una situazione ordinaria della vita di città o di campagna, quasi come in un’istantanea, e a rivitalizzarla dedicandole una speciale attenzione.

La sobrietà insieme tenace e appassionata di Hopper come osservatore della città americana, della campagna e di quei panorami desolati intermedi delle regioni semiurbanizzate è l’argomento di un corposo libro di immagini, con un vasto apparato di note sulla vita e l’opera di Hopper, scritto dal suo amico e scrupoloso interprete Lloyd Goodrich. Hopper morì nel 1967, due anni dopo una raffinata retrospettiva al Whitney Museum; parte della sua vasta eredità artistica è stata in mostra quest’anno al Whitney e ora sta circolando tra gli altri musei negli Stati Uniti. Terzo di una serie di volumi, simili nel formato, dedicati ad artisti americani (fino a ora sono stati pubblicati Wyeth e Rockwell), il libro riesce a dare un’idea esaustiva dell’arte di Hopper attraverso il gran numero e la scala delle riproduzioni, anche se la fedeltà delle tavole a colori è spesso distante da quella sperata. Il testo è utile, fin dove si spinge: supportato dai fatti e appassionatamente di parte; ma molte domande sono lasciate senza risposta e alcuni paradossi che nascono dalla strana collocazione di Hopper nell’arte moderna vengono largamente ignorati.

Eccetto uno, che Goodrich parzialmente riconosce: «I primi dipinti di Hopper avevano dimostrato la sua abilità tecnica e la pennellata libera tipica degli allievi di Henri1. Fortunatamente, egli non perseverò a lungo in tale abilità; anziché divenire più abile, divenne più sobrio […] Alcuni dipinti, o alcuni tratti, mostrano una vera e propria grossolanità o pesantezza di mano, in spregio alla raffinatezza tecnica. La tessitura della superficie non ha molte variazioni; talvolta le forme sembrano composte più o meno della stessa sostanza. C’è poco richiamo dei sensi nel colore e nel suo trattamento».

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