Roberto Bruno

Il Romanzo.“Una vita tranquilla in una tranquilla città”

Abbiamo trovato nella intelaiatura del quadro di fianco riprodotto il manoscritto di un romanzo di cui non conosciamo l’autore. Peraltro non conosciamo neppure l’autore del quadro riprodotto. E’ un romanzo particolare composto da due romanzi intrecciati. In cui uno, basato su fatti apparentemente reali, ha la funzione di far capire al lettore l’origine dei personaggi dell’altro, che evidentemente è basato su fatti di fantasia. Vi sono alcune parti di saggio intervallate alle parti di racconto. Abbiamo deciso di pubblicarne ogni tanto un brano in attesa che l’autore si faccia vivo con noi per dirci che intenzioni abbia relativamente al suo testo.
Abbiamo assegnato all’autore un nome di fantasia: Roberto Bruno.
Avremmo piacere di ricevere dai nostri lettori commenti sui brani che via via pubblicheremo.

Il romanzo porta il titolo:

UNA VITA TRANQUILLA IN UNA TRANQUILLA CITTA’

Il seguente brano ha inizio alla pagina 213 del manoscritto:

Roberto fa il sogno dei due ragazzi che chiedono del film tal dei tali, lui gli indica il manifesto vicino a loro, all’incrocio San Pio – Ghisiliera e loro lo ringraziano. Il sogno prosegue e Roberto immagina di parlare con due amici con cui era in quell’incrocio e dice loro che è stato lui a indicare ai ragazzi il manifesto e quindi a capire di quale film chiedessero informazione. La ragazza poco prima aveva preso fra i denti l’orecchio del ragazzo e per scherzo lo aveva tirato fino a un metro di lunghezza.
Ma perché sogna una cosa così stranamente insignificante?
E’ interessato, quasi ossessionato, dall’origine delle cose, di tutte le cose. Sapere come è nata l’informazione ai due ragazzi è fondamentale per capire come si sviluppino i processi, come una cosa in quel certo momento prenda una direzione precisa che prima non aveva.
E’ per lo stesso motivo che lo interessa l’origine delle parole, nello stesso spirito in cui ne parla il padre gesuita a Sean in Underworld.
Come in una pietra in cui identifichi dalle strisce bianche e grigie la diversa origine sia cronologica che chimica dei suoi componenti. E pur individuandosi questa diversa origine la pietra rimane compatta e inscindibile, ha una sua consistenza che la fa definire pietra e non altro. Così le parole pur nella loro origine identificabile rimangono comunque oggetti verbali estremamente consistenti e indivisibili.
E’ per questo che ha la tendenza maniacale a cercare le cose che originano? Le idee per programmi nuovi, un nuovo modo di fare quadri, come sia accaduto che quei due ragazzi ora sappiano il titolo del film.
L’origine della parola.
A questo proposito si immagina due cavernicoli, due abitanti delle caverne prima che nascesse la prima parola. Non hanno ancora nulla da spartirsi se non l’esigenza di procurarsi il cibo, non sanno neppure che devono difendersi dal pericolo, non lo hanno ancora incontrato. Escono dalla caverna perché la fame li spinge a cercare qualcosa di verde da mettere in bocca. Da cui ancora non esce parola, ma un suono privo di riferimento ad alcunché. Avanzano nel bosco e mangiano ciò che trovano, frutti e foglie. Qualcosa lo sputano perché sgradevole. A un tratto sentono un rumore legato a uno spostamento di fronde, alzano lo sguardo e vedono di fronte a loro un leone che li osserva. Uno di loro al suo avvicinarsi gli tocca il pelo. Il leone emette un ruggito cui loro non attribuiscono alcun significato, non conoscono ancora il dolore e quindi la paura. Il leone afferra fra i denti la gamba dell’uomo a lui più vicino e comincia a sbranarlo con una furia dettata dalla fame. L’uomo grida finalmente per il dolore, l’altro si allontana e osserva il pasto della bestia prima di fuggire verso la caverna. Non necessariamente la caverna da cui è partito. Lì comunque trova altri cavernicoli cui cerca di raccontare cosa gli sia successo e l’esperienza del dolore e della paura, ma non ha strumenti per far capire loro cosa sia un leone e l’unica cosa che gli viene da fare è di ripeterne il ruggito. Nel miglior modo possibile, ma certamente ben lontano dal suono reale emesso dalla bestia. Gli altri non capiscono. Lui allora prende una pietra e traccia sulla parete una riga con un cerchietto in cima e due appendici in alto e in basso. Poi un’altra figura simile. Due uomini graffiati sulla roccia. Poi una riga orizzontale con un cerchietto da una parte e due appendici da una parte e dall’altra che scendono verso il basso. Il leone. Alza quindi le mani come fossero artigli, indica la sagoma del leone ed emette il finto ruggito, roar, poi pone le mani su uno degli ascoltatori e indica una delle due sagome di uomo sulla parete. Ha raccontato agli altri cavernicoli cosa sia un leone e il pericolo legato a quel rumore, roar. Il rischio di non far ritorno al coperto quando si va alla ricerca del cibo, e le grida del dolore dell’altro uomo del tutto simile a loro. Ha inventato la prima parola, roar, ma avrebbe potuto anche essere beeeeh, e quando gli altri uomini usciranno dalla caverna per andare alla ricerca del cibo e incontreranno il leone, non vedranno solamente una forma mai vista cui non attribuiranno alcuna valenza, ma vedranno una forma che sanno può provocare dolore, proveranno paura, e diranno agli altri cavernicoli di aver incontrato roar. Non ancora una bestia, non ancora un essere distinto dai cavernicoli suoi simili, semplicemente roar. Fino a quando vedrànno due, tre, venti roar insieme, e allora capirànno che roar non indica una sola forma ma un insieme di forme simili. Non vedranno solo la fame e il desiderio sessuale, ma vedranno anche ciò che ha raccontato loro il primo cavernicolo. La realtà che vedranno sarà quindi permeata dal racconto, anzi sarà il racconto in sostanza che loro vedranno e ciò significa in definitiva che la realtà che l’uomo vede è una realtà costruita dal racconto. Non è una realtà fisica che si impone al nostro sguardo ma è il nostro sguardo che attraverso la lingua, la parola, la costruisce. Non a caso Dio nella Bibbia è anche definito come il Verbo, la Parola. Perché è la parola che crea il mondo, ed è quindi lo strumento attraverso cui Dio lo crea. E con lui si identifica.
Per questo è importante sapere come essa si origina?
L’origine della parola. L’origine del mondo sensibile come noi lo vediamo. L’origine di Dio, l’origine delle cose.
Ma all’inizio della Genesi, che è l’inizio del mondo, Dio disse:
‘Sia la luce! E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e giusta’.
Da questo si ricava, a rigor di logica tipografica, che Dio non sa esattamente cosa sarebbe stata la luce che va a creare, quindi non ha effettivamente coscienza di tutto quanto esista. E ulteriormente quando giudica la sua creazione non dice che questa è bella, non afferma cioè l’unica cosa che, non avendo coscienza del tutto, avrebbe potuto dire a quel punto.
Solo sulla bellezza della sua creazione poteva immediatamente esprimere un giudizio in quanto unico giudizio esprimibile all’istante, non certo sulla sua bontà e giustezza in quanto concetti relativi a un ordine di valori al momento ancora non disponibili in quanto se Dio non conosceva cosa andava a creare non poteva certo avere già creato il sistema di valori in base al quale poterlo definire buono e giusto. Da ciò si ricava che Dio fa discendere la bontà e la giustizia dalla bellezza con tutte le conseguenze del caso, anche molto affascinanti, e che Dio in effetti non è in possesso del sapere nella sua interezza. E se l’uomo è fatto a sua immagine e somiglianza non derivano da ciò interessanti conseguenze?
Allora la bellezza precede anche la parola?
Quindi la sequenza è: Dio, poi la luce che mostra il mondo non descritto, poi la bellezza che precede la norma etica, poi il buono e il giusto contemporaneamente che sono quindi definiti sulla base del bello.
Ma a che punto si colloca la parola? Precede Dio? Viene dopo la bellezza?
La parola e il racconto hanno creato la realtà, non esiste quindi verità? E’ per questo che il romanzo si oppone alla verità? In quanto esso è alla base della possibilità stessa che il vero esista, nel momento in cui il vero pretende di essere un assoluto non determinato, il romanzo gli si oppone per ricordargli la sua natura di convenzione scaturita dal racconto. E andando indietro, andando indietro, andando indietro si può arrivare anche a definire impossibile la non esistenza di Dio? O di qualcosa come si voglia che o tutto precede o tutto contiene, che è la stessa cosa?
Se qualcosa è determinato, e quindi segue, presuppone che qualcosa lo preceda.
Dio?
Se qualcosa è contenuta presuppone che qualcos’altro la contenga.
Dio?
E l’infinito? Se l’universo è infinito il concetto stesso della sua infinitezza non può essere compreso dalla logica umana appartenente a qualsiasi cultura. E se non può essere compreso, contenuto nella nostra parte ragionante, vuol dire che questa è infinita essa stessa? E allora il pensare dell’uomo partecipa di quella infinitezza? E’ a lei affine? E questa infinitezza si può certamente chiamare Paola ma forse anche Dio. No?
E se invece l’universo è finito, ciò vuol dire che ha un limite, dei confini. Bene. E allora cosa c’è oltre questi confini? Nulla?
E cosa è nulla, lo si può a sua volta comprendere? Anche questo concetto non lo si può comprendere salvo rifarsi all’idea che questo universo finito deve per forza prevedere qualcosa che lo contenga. E questo qualcosa che lo contiene, che non appartiene alla comprensibilità della logica umana, potrebbe avere un nome? E questo nome potrebbe essere Dio? E questo Dio potrebbe essere all’oscuro di ciò che contiene e lasciare che le cose in questo contenuto si svolgano a sua insaputa? Ma lui ha coscienza di sé, sa di essere un contenitore di qualcosa che necessariamente è definito anche dal suo contenuto? E così via.
L’origine delle cose, l’origine delle parole, l’origine delle idee, l’origine della responsabilità, l’origine della colpa.
La cosa curiosa e che sempre lo ha sbalordito è che quelli che gli stanno intorno non prestano alcuna attenzione all’origine delle cose. Neanche i professori all’origine delle parole. E quando fai loro presente come la cosa sia nata, anche se non sia originata da te ma da altro, non ricordano assolutamente come sia successo. Si inseriscono nel filone del divenire senza porre attenzione alla cosa in sé e alla sua origine. Come se questo non avesse importanza.
Ma ce l’ha importanza?
Per lui molta, tanto è vero che quando da una sua idea nasce qualcosa che produce un effetto positivo per qualcuno e nessun effetto per sé, lui fa presente la cosa e pretenderebbe quella che chiama giustizia o verità dei fatti. Ma a quel punto è troppo tardi, loro ti spiegano che le cose son sempre in divenire, non nascono e non muoiono ma si trasformano. Diventano filosofi.
E’ strano però che questo tipo di filosofeggiare porti sempre a una esenzione dalle loro colpe e a un loro beneficio economico evidente.
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