Roberto Bruno

Il Romanzo.“Una vita tranquilla in una tranquilla città” (2)

“Pubblichiamo altre pagine del manoscritto che abbiamo trovato nella intelaiatura del quadro quì a fianco riprodotto. Sono le pagine da 191 a 194.

Nel romanzo vi sono riflessioni su vari argomenti e da queste abbiamo deciso di partire nella pubblicazione perchè più in sintonia con la rivista nel suo complesso.

Più avanti pubblicheremo alcune parti narrative nell’attesa di ricevere qualche riscontro da chi le avrà lette. Probabilmente chi le ha scritte aveva in mente come modello un romanzo-saggio come descritto da Kundera nel suo ‘L’Arte del Romanzo’.


Murri non ha voglia di seguire il congresso e nel giorno che gli rimane da passare a Los Angeles decide di noleggiare un’auto e di uscire dalla città. Verso l’interno del continente. Sul lato della strada bruciata dal caldo vede un camion che vende frutta e si ferma. Compra un chilo di mele e una bottiglia d’acqua gelata. Un pickup si ferma a sei metri e ne esce un ragazzo biondo in jeans e stivali intarsiati alla moda western.

Non si capacita di come possano tenere i piedi in quelle scarpe con 40 gradi all’ombra. Prosegue verso l’interno fino a scavallare un passo chiamato Priest Pass, passo del prete, e nel giro di una quarantina di chilometri si ritrova dove voleva essere. Una specie di deserto con qualche cespuglietto qua e là che si estende per una dimensione che fa dubitare che la terra sia tonda. Il cielo con le solite nuvolette basse americane ha anch’esso una dimensione stratosferica. Vede cinque o sei guerrieri pellerossa attraversare a piedi quella terra. Una squaw che cammina verso le tende trascinandosi una fascina. Un fuoco intorno al quale uomini si scambiano una pipa e bimbi nudi che corrono intorno. Un uomo a cavallo seduto su una coperta dai disegni vivaci e geometrici. Le sue piume in testa. I capelli neri e lisci che scendono lungo la schiena.

 Sa che il fascino di ciò che è evocato dal paesaggio deriva dalla letteratura e dal cinema che ha visto e letto. Fa la stessa considerazione tutte le volte che si trova a contatto con l’interno americano.

Cerca ora il rapporto fra letteratura e paesaggio americano. Vuole capire l’origine di quel fascino. Il carattere apparentemente cinico della prosa americana, di quella migliore, che così bene si adatta a quel paesaggio? Ma perché ci si adatta così bene? Una assonanza, ineguagliata da altre letterature, col paesaggio da cui è prodotta? Come fosse generata da quello stesso paesaggio? E’ inevitabile che l’abbinamento esalti uno dei suoi sensi profondi? Quale senso? La prosa americana appare cinica quando osservandola con calma rivela invece una sorta di umanesimo rarefatto, una nostalgia, una specie di esito ultimo dell’umano, una sensazione di abbandono, simile a quella che suscita nell’osservatore lo stesso paesaggio americano nella sua magnificenza estatica. Nulla di simile ad alcuna Natura visibile altrove nel mondo.

 Africa, Asia, Oceania che sia. Tahiti. Il paesaggio americano, come evocato da Baudrillard in ‘America’, è un paesaggio che nella sua inevitabile bellezza risulta desolante perché non si fa semplicemente guardare. Quando lo osservi ti senti osservato. E’ come se fosse lui in qualche modo che sorride della tua minuscola dimensione, come se cercasse di avere pazienza per il tuo non capire. E’ come se fosse stato il rifugio in cui Dio si era riparato dopo la fatica di aver creato l’universo. Lì. Vicino al popolo che più avrebbe amato, per il coraggio dei suoi uomini che cavalcavano urlanti agitando arco e frecce contro la polvere da sparo e per la sensualità senza colpa delle loro donne. Che aspettano pazienti la strage. Innamorate e quiete.

 E’ il Paradiso in cui l’uomo bianco si è forse infilato non voluto, e in cui non è mai riuscito a trovare ciò che sembrava naturale trovarvi, vista la bellezza così vicina al ‘E sia la luce e Dio vide che era cosa buona e giusta’.

L’ uomo bianco vi giunge e osserva il paesaggio rapito da tanta bellezza e costruisce così la via americana alla felicità. Che farà a lungo finta di aver trovato.

 La sua letteratura è cinica perché cosciente di una colpa?

 E’ come se la sua lingua fosse costretta ad esibire un umanesimo rarefatto, troppo vicino alla verità in qualche modo. E alla sincerità. Dos Passos, Faulkner, London, Bradbury, King, i contemporanei migliori, si avverte in loro una sorta di inevitabilità, di impossibilità di sfuggire alla verità, alla sincerità. Una cosa non presente in altre letterature, in altri modi di costruire le frasi e i dialoghi. Una lingua che evoca in ogni sfumatura l’inevitabilità del suo rapporto col paesaggio che l’ha generata, che si offre al confronto con l’immagine in modo conseguente, sintonico, come se da essa, l’immagine, scaturisse. Un linguaggio che appare vero perché sincero. E’ dalla parola che nasce la realtà e quindi la verità.

 Sa che Dio nella Bibbia si identifica con la Parola. E con essa crea il mondo.

 E la sincerità?

 Quando una lingua è sincera?

 Quando un oggetto d’arte è sincero?

 Quando riesce a pulire fino in fondo le incrostazioni che si sono depositate sulla parola, sulle parole, quando riesce a restituire loro l’originario senso non contaminato dal luogo comune. Quando fa dei luoghi comuni un falò e lo dedica a chi il mondo ha creato.

La Parola.

 La parola ha raccontato di come quella terra non sia la loro, di come sia stata rubata ai suoi legittimi proprietari ed impedisce ciò che ad altre culture concede. Le terre di Europa, di Asia, di Africa si sono costituite prima che il racconto intervenisse a creare le realtà. Prima che la parola costruisse gli insediamenti umani, prima che costruisse le città, le religioni, le gerarchie.

 Su quella terra la società americana si è insediata in un’epoca in cui la parola era già in grado di distinguere le sostanze costitutive e le sostanze che hanno sostituito queste lo hanno fatto sotto lo sguardo della parola. Ma la parola si identifica con Dio non a caso ed è per questo che la civiltà americana non riesce a sentirsi accreditata a buon diritto. Perché quel buon diritto non ce l’ha e forse da qui il cinismo e l’umanesimo rarefatto che caratterizza i suoi spiriti migliori. E il paesaggio… che in continuazione evoca le immagini di quel popolo nel momento in cui abitava il Paradiso”

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