Paul Krugman

L’inconsistenza dell’opzione austerità

da ''The New York Review of Books''

NEIL IRWIN, The Alchemists: Three Central Bankers and a World on Fire, Penguin, pp. 430, $29.95

MARK BLYTH, Austerity: The History of a Dangerous Idea, Oxford University Press, pp.288, $24.95

DAVID A. STOCKMAN, The Great Deformation: The Corruption of Capitalism in America, PublicAffairs, pp. 742, $35.00

ECONOMIA: L’economista vincitore del premio Nobel Paul Krugman, analizza gli effetti disastrosi delle politiche economiche di austerità. Secondo Krugman, la fine dell’austerità è fondamentale per la ripresa dell’economia globale.

In tempi normali, un errore aritmetico in un documento economico sarebbe stato un totale non-evento fino a quando non avesse interessato tutto il mondo. Ma nell’aprile del 2013, la scoperta di questo errore – in realtà un errore di codifica in un foglio di calcolo, insieme ad altri difetti nell’analisi – non solo è diventato un pettegolezzo fra gli economisti di professione, ma ha fatto notizia. Guardando indietro, potremmo persino concludere che ha cambiato il corso della politica.

Perché? Perché il documento in questione, “Crescita in Tempi di Debito” degli economisti di Harvard Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, ha acquisito lo status di pietra di paragone nel dibattito sulla politica economica. Sin da quando il documento ha iniziato a circolare per la prima volta, gli “austeriani” – gli avvocati dell’austerità fiscale, dei profondi tagli immediati sulla spesa del governo – ne avevano citato le presunte conclusioni per difendere la loro posizione e attaccare i loro critici. Ancora una volta, indicazioni che, come sostenne una volta John Maynard Keynes, «il boom, non la recessione, è il giusto momento per l’austerità» – cioè che i tagli dovrebbero aspettare fino a che le economie non diventino più forti    – si incontravano con le dichiarazioni di Reinhart e Rogoff che avevano dimostrato che aspettare sarebbe stato disastroso, che le economie sarebbero cadute in un precipizio una volta che il debito pubblico avesse superato il 90 percento del PIL.

In realtà il rapporto di Reinhart e Rogoff avrebbe potuto avere un’influenza immediata più di qualsiasi altro documento nella storia dell’economia. L’affermazione sul 90 percento fu citata come argomento decisivo a favore dell’austerità da personaggi che andavano da Paul Ryan, ex candidato alla vicepresidenza che presiede la commissione bilancio della Camera USA, a Olli Rehn, il Commissario Europeo per gli affari economici e monetari, alla redazione del ‘Washington Post’. Così la rivelazione che la soglia del 90 percento era un artefatto di errori di programmazione, omissione di dati e strane tecniche statistiche, fece improvvisamente sembrare stupide un notevole numero di persone importanti.

Il vero mistero in primo luogo, comunque, era perché il rapporto di Reinhart e Rogoff fosse stato preso sul serio e persino messo su un piedistallo. Fin dall’inizio, i critici avevano avanzato forti preoccupazioni sulla metodologia e sulle conclusioni del documento, preoccupazioni che avrebbero dovuto essere sufficienti per far fare a tutti una riflessione. In più, il rapporto di Reinhart e Rogoff era in realtà il secondo esempio di un documento fornito come prova decisiva a favore delle politiche di austerità, solo per poi essere smontato da un esame attento. Era avvenuta più o meno la stessa cosa, sia pure meno spettacolarmente, dopo che gli austeriani si infatuarono di un documento di Alberto Alesina e Silvia Ardagna che pretendeva di dimostrare che riducendo la spesa pubblica ci sarebbe stato solo un piccolo impatto negativo sulla crescita economica e avrebbe potuto avere anche un effetto di espansione. Sicuramente quell’esperienza avrebbe dovuto ispirare un po’ di cautela.

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