Segrè ci porta a riflettere su come lo spirito del dono sia sostituire ai valori della società mercantile, i valori dell’altruismo e del rispetto per l’ambiente. Uno spirito, quello del dono, che significa anche riconoscere il debito ecologico, ridistribuire, riciclare, restituire alla Natura ciò che abbiamo preso in prestito. Nei fallimenti dell’economia di mercato – resi più acuti e dolorosi dalla crisi che sta attraversando il mondo occidentale e il suo modello di riferimento, il capitalismo – emerge un (apparente) paradosso. Il dono, o più precisamente la sua economia, ripara o perlomeno mitiga i danni prodotti dal mercato. Possibile che un ossimoro, una contraddizione in termini – cos’altro è un economia gratuita – abbia questa funzione? Su cosa si fonda allora l’economia del dono? Il dono è ciò che si dà agli altri volontariamente, senza aspettarsi ricompensa o restituzione. Supera sia il paradigma utilitarista o individualismo metodologico sia quello collettivista, e permette un diverso livello di lettura del valore dei beni: è il promotore di relazioni sociali che portano a un valore di legame. E il legame diventa più importante del bene stesso e si trasforma in strumento di scambio a tutti gli effetti. La “cosa” donata non è risarcibile perché il dono ricambiato non può essere disinteressato, acquista senso perché si trasforma in gesto disinteressato, di affermazione personale legata al piacere di perdere e strumento di piacere (il consumo di risorse si trasforma in potere che rinforza socialmente il donatore).