Zero: un numero naturale che non è successore di nessun altro e rappresenta una quantità nulla, dice il Vocabolario della Lingua Italiana. Un numero molto speciale, arrivato fino a noi dalla cultura indiana e, per molto tempo, avversato poiché nel suo substrato si annidano i concetti del Nulla e dell’Infinito. In matematica infatti lo zero ha la proprietà di “essere” il nulla o l’infinito: moltiplicando un numero per zero il risultato è sempre zero, dividendo un numero per zero il risultato è infinito. Dunque lo zero è l’alfa o l’omega: il principio o la fine. Dipende da noi e da come lo guardiamo.
Non a caso, in uno dei significati figurati che ci riporta sempre il vocabolario della nostra lingua, si può oltraggiare qualcuno come “zero”, negando completamente la personalità dell’altro considerato come nullità. Un processo psicologico pericoloso, che può sfociare nella deumanizzazione, ovvero quel processo che sottrae agli esseri umani le due qualità che li definiscono come tali: l’identità e la comunità1. In altre parole, gli individui vengono privati della loro umanità, spogliati e non “meritevoli” di alcun trattamento umano a tal punto da considerarli privi di emozioni tipicamente umane come la tenerezza o il calore, “oggetti subumani” e “stupidi selvaggi”2.
Ma zero è anche un punto iniziale di una sequenza, di una serie, di una scala graduata; punto di demarcazione tra valori negativi e valori positivi: quante volte infatti abbiamo ricominciato da zero? Nel senso che siamo ripartiti dalla situazione iniziale o dal nulla? O quello che per noi era il nulla?
O anche fortunate formule come Chilometro Zero o Tolleranza Zero, estese ad altro rispetto alle definizioni originarie.