Vincenzo Bonicelli Della Vite

Fiction – Il cuore del pennello

Stranamente nel cuore di Bologna. Anche se non fa parte del vero e proprio Centro Storico, Via San Petronio Vecchio ha il suo sbocco su Via Guerrazzi, dove il collegarsi di Strada Maggiore con Santo Stefano la proietta nella vita pulsante della città con una certa discrezione. Appartata e dimessa, almeno per chi l’osserva non troppo attentamente scorrendo di passaggio, non sembra curarsi della promiscuità spudorata e baldanzosa delle sue più illustri compagne. Lascia loro la pulsante vitalità cittadina e tiene per sé il fascino dell’antico quartiere popolare, una modestia rinnovata di portici, palazzine e soprattutto marciapiedi, logori per passaggi ripetuti all’infinito nel passato e ancora nel presente, lacerati da interruzioni e sbalzi del terreno. Almeno così erano all’inizio degli anni ’80, quando ricordo non mancavano sbrecciature dei muri, sporcizia di angoli e androni impossibili da evitare. Io vi passavo come dentro a un’abitazione in cui le stanze erano troppe per poter essere ripulite, e mi andava ben così, non avrei voluto le impronte del tempo cancellate a favore di un’asettica indifferenza ospedaliera. La bottega di Paolo era proprio qui dove passavo dirigendomi verso Via Guerrazzi, prima di imboccare Santo Stefano verso il Centro, oppure Piazza Aldrovandi verso l’Università in Via Zamboni.
Arrivando da Via del Piombo, il marciapiede risaliva appena verso l’incrocio con Via Remorsella e subito prima della bottega, e ogni volta mi sorprendevo della sopraelevazione brusca e stretta che immaginavo trasferita qui da una cittadina collinare. Un passaggio a senso unico, come se una volontà estranea l’avesse materializzata per impedire alle biciclette di scorrere sotto il portico infastidendo i pedoni, anche se dubito sia mai riuscita nell’intento. Di fatto bisognava stare sempre attenti a scansare qualche ciclista, un dispetto o una scelta di chi preferisce il riparo scorrevole del portico all’asfalto ruvido aperto di sotto, mi dicevo. Quel giorno notai che il locale sulla mia sinistra, vuoto ormai da alcuni giorni, era stato imbiancato e qualcuno dentro stava allestendolo, avendo posizionato quadri e litografie vicino alle pareti per poterli poi appendere. Diedi un’occhiata più curiosa e meno affrettata, fermandomi davanti alla vetrina esterna quasi sfacciatamente, sentendomi giustificato a farlo dal mio interesse verso l’arte e i quadri. L’uomo sembrò accorgersene, per una strana sensibilità sul suo dorso. Animale sensibile. Si voltò di scatto con un gran sorriso sicuramente rivolto a me, unico passante fermo lì davanti. L’occhiale spesso deve nascondere un udito molto acuto, ricordo che pensai. Mi rivolse la parola con fare cordiale e mellifluo, strana commistione che sfociò in un Prego… farfugliato, un invito ad entrare al quale non potei sottrarmi.
«Veda, sto finendo di allestire … mi chiamo Paolo e lei?»
Mi aveva dato cortesemente del Lei, a me parecchio più giovane di lui, cortese nei suoi sessanta anni o qualcosa di più, io nei miei trenta appena iniziati. Allora ero ancora affascinato dalle avventure e dal nuovo in un modo che definirei morboso, mi apparteneva di diritto l’idea che nel presente tutto è possibile, quindi potevo lasciare ad altri passato e futuro, i loro luoghi comuni del destino segnato nel tempo, per vivere un presente pieno. Vincenzo, mi chiamo Vincenzo. E sono disoccupato … (questo non avrei dovuto dirlo, non so perché sentii il bisogno di farlo, forse voglio scusarmi d’essere tanto più giovane di lui, pensai). Mi son fermato attratto dalla novità … questa è una nuova bottega d’arte, giusto? Lei è un pittore?
Sì, certo, disse lui.

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