Alessandro Coppola

Radio3suCarta. Wikiradio. Il risanamento del Bronx raccontato da Alessandro Coppola

Il 16 settembre1976 il 'New York Times' riportava la notizia delle dimissioni di Roger Starr, assessore newyorchese. Quella che sembrerà una notizia tutto sommato trascurabile era in realtà l'esito finale di un lunghissimo periodo di crisi, che aveva portato Roger Starr a fare la proposta incredibile di abbandonare e distruggere intere porzioni della città di New York, a partire dal South Bronx.

Wikiradio costruisce giorno per giorno una sorta di almanacco di cose notevoli ed utili da sapere per orientarsi nella nostra modernità. Ogni puntata racconta un evento accaduto proprio nel giorno in cui va in onda, intrecciando il passato con il presente, la memoria storica con ciò che oggi essa significa per noi. Dalla storia all’economia, dal cinema alla scienza, la letteratura, il teatro, le arti visive, la musica, i grandi momenti che hanno segnato un punto di svolta raccontati da esperti, studiosi, critici, con spezzoni di repertorio, sequenze cinematografiche, brani musicali, in un articolato mosaico che vuole restituire agli ascoltatori tutti i significati possibili di un avvenimento.

A cura di Loredana Rotundo con Antonella Borghi, Attilio Fortunato e Roberta Vespa.

Il 16 settembre1976 il ‘New York Times’ riportava la notizia delle dimissioni di Roger Starr, assessore newyorchese. Quella che sembrerà una notizia tutto sommato trascurabile era in realtà l’esito finale di un lunghissimo periodo di crisi, che aveva portato Roger Starr a fare la proposta incredibile di abbandonare e distruggere intere porzioni della città di New York, a partire dal South Bronx. South Bronx che in quegli anni era ridotto a palazzi sfiancati, a strade deserte ed allagate dal flusso teso dell’acqua delle condotte spalancate, a un tappeto di macerie dal quale magari spuntavano le sagome sempre più arrugginite di decine di scale antincendio. Sembrerebbe un paesaggio postbellico di una città tedesca, di quelle annientate dalla guerra aerea, in realtà è un paesaggio a noi molto più familiare, molto più vicino dal punto di vista temporale. È il paesaggio di molte città americane in declino, che negli anni ’60 e ’70 faranno esperienza di una devastazione che appunto sarà paragonabile agli effetti della guerra aerea. Particolare da questo punto di vista è il South Bronx, la porzione più meridionale di uno dei cinque grandi boroughs che compone la metropoli americana fra il ’70 e l’80. Il 40% del South Bronx viene abbandonato o distrutto dagli incendi, da un’epidemia incendiaria, alcune aree del South Bronx saranno totalmente annientate. Come per esempio Charlotte Street che diventerà una sorta di simbolo della devastazione, una strada in cui il 97% degli edifici al 1980 sarà scomparso, o il quartiere di Soundview, 836 edifici nel 1970 e 9 nel 1980. Negli stessi anni, la popolazione si dimezzerà, passerà da 380.000 a 160.000. 160.000 persone scomparse nel giro di un decennio, e il South Bronx diventerà il simbolo di un paese che aveva deciso di voltare le spalle alle proprie città anzi di assassinarle, come dirà uno studioso americano, e questo simbolo della devastazione attraverserà il cinema, lo sport, e arriverà fino alla politica.

Una scena del film Fort Apache

Una scena del film Fort Apache

Il cinema per esempio con il film Fort Apache. The Bronx con Paul Newman, un film abbastanza mediocre per altro ma con un ottimo attore, in cui si racconta la storia incredibile di questa stazione di polizia, rimasto l’unico edificio in piedi in un isolato completamente distrutto. Unico edificio da cui le forze di polizia dovevano combattere un’area in preda al crimine, al traffico di droga, agli scontri fra le gang.

Oppure lo sport, con la famosa frase pronunciata dal radiocronista di una partita degli Yankees del 1977 che ad un certo punto, quando la telecamera dell’elicottero che sta seguendo la partita scopre che attorno allo stadio il quartiere del South Bronx è in preda alle fiamme, fissa questo momento nella storia del paese dicendo: «Ladies and Gentlmen, the Bronx is burning».

Ronald Reagan visita il Bronx

Ronald Reagan visita il Bronx

E anche nella politica il South Bronx diventerà un luogo simbolico. Carter ne calpesterà le macerie nel 1977 impegnandosi e promettendo un paese che non avrebbe voltato le spalle alle sue più grandi e gloriose città. Tre anni dopo, allo stesso modo, il candidato alla Casa Bianca Ronald Reagan, che di lì a poco avrebbe sconfitto sonoramente Carter, invece calpesterà le macerie del South Bronx per denunciare quelle che secondo lui erano le ricette fallimentari della sinistra nel combattere il declino urbano e i problemi urbani, che erano soprattutto problemi razziali. Ma l’immagine del Bronx è arrivata anche da noi, ogni città italiana che si rispetti ha nella coscienza dei suoi abitanti il suo piccolo Bronx, il suo quartiere nel quale c’è qualche problema in più e c’è un po’ più di crimine, ovviamente ben lontani dagli standard che hanno fatto del Bronx “il Bronx” dal punto di vista dell’immaginario collettivo.

Ma come era stata possibile una tale catastrofe nel cuore di una ricca metropoli in uno dei paesi più ricchi del mondo, che aveva appena fatto esperienza di una fase di incredibile espansione economica? Nonostante ciò, in questo paese in grande espansione, l’immagine allora diffusa della metropoli era un’immagine di crimine, di degrado, di rivolte razziali, di manifestazioni politiche e di una classe media bianca terrorizzata da una città in cui non riusciva più a riconoscersi. I roghi del Bronx, l’epidemia incendiaria del South Bronx, costituirà da questo punto di vista l’ultimo atto di un ventennio fatto di residenti in fuga, di negozi e grandi magazzini sull’orlo del collasso, di rivolte razziali e di bilanci municipali disastrati. Il tutto mentre gran parte del paese si era ritirato nei rifugi tranquilli delle grandi aeree suburbane che si stavano sviluppando in quegli anni. Nel 1970 gli Stati Uniti saranno diventati forse la prima nazione suburbana del mondo, vale a dire che la maggioranza relativa della popolazione non viveva né in città né in campagna, ma appunto in questa nuova “invenzione”, il suburbio. Quegli anni saranno anni in cui la civiltà americana suburbana raggiungerà il suo apice, non solo per le classi medie superiori ma anche per i ceti impiegatizi e per la classe operaia. La casa suburbana diventerà il simbolo di quello è stato definito il “soft power” del modello americano. Non a caso alla fine degli anni ’50 Richard Nixon sceglierà proprio la riproduzione di una casa suburbana durante una grande esposizione internazionale per mettere in scena un interessante e abbastanza ridicolo colloquio con Nikita Kruscev per dimostrare la superiorità dell’ “american way of life”. L’idea era quella di far capire a Nikita Kruscev che un operaio in America poteva vivere in una casa suburbana e non in una condizione di triste convivenza condominiale come poteva accadere in Unione Sovietica. Le politiche del governo quindi andranno avanti nell’obiettivo di aumentare il numero dei proprietari immobiliari. La proprietà immobiliare verrà vista come la spina dorsale della società americana e il governo investirà miliardi in garanzie e facilitazioni che sostenevano la classe media nell’accedere alla proprietà immobiliare. Queste garanzie e facilitazioni andavano però a favorire non un immobile qualsiasi o una famiglia qualsiasi, ma soprattutto la famiglia della classe media bianca che acquistava una nuova casa nel suburbio e non in città. Questi saranno gli anni del cosiddetto “redlining”, la pratica del governo di non garantire i prestiti e i mutui contratti nelle città, e questo porterà a un effetto disastroso, vale a dire a un razionamento del credito di cui pagheranno le conseguenze le popolazioni che vivevano nelle città. E sempre di più popolazioni appartenenti alle minoranze: afroamericani, ispanici, costaricani e portoricani. Il degrado e il declino dei quartieri come il South Bronx sarà il frutto di questa ascesa sostenuta dal governo del suburbio e del conseguente declino delle città.

Quello che avverrà sarà quindi più in generale un’immane spostamento di persone e di capitali dalla città verso il suburbio, che si lascerà dietro tantissime macerie: macerie sociali, e, come abbiamo visto, macerie fisiche. Tutto questo accadrà anche nel Bronx, e in particolare nel South Bronx. Ironia della sorte, il South Bronx in violento declino negli anni ’70, in origine era stato una sorta di suburbio di New York in cui si poteva trovare, alla fine del 19° secolo, una qualità della vita decisamente superiore a quella della sovrappopolata Manhattan. Qui, italiani, tedeschi, irlandesi e diverse comunità ebraiche verranno a vivere fino agli anni ’50 del ‘900. Queste comunità saranno poi rimpiazzate da afroamericani e ispanici che erano attratti a New York dall’abbondanza di posti di lavoro industriale che però proprio in quegli anni diventavano sempre più scarsi, la nuova immigrazione arriverà quindi a New York, e in particolare nel Bronx, quando le buone ragioni per emigrare lì erano già divenute meno buone. Povertà, dipendenza dal welfare, diffusione del crimine, caratterizzeranno il South Bronx degli anni ’60 e ’70. In più questa zona della città dovrà sia fronteggiare l’ascesa del suburbio, sia, ironia della sorte, di quelle stesse iniziative che la città voleva portare avanti proprio per contrastare l’ascesa del suburbio a danno della città. Alla fine degli anni ’50 verrà costruita questa “infame” autostrada, detta Bronx Exspressway, che doveva servire a connettere meglio la città con le nuove aeree in costruzione nelle zone che un tempo erano rurali, e che porterà alla distruzione di decine di quartieri che fino ad allora avevano ospitato comunità di operai della classe media molto vitali. La storia del South Bronx quindi sarà la storia di un pezzo in declino di una città, nello scenario di un città che complessivamente era già in declino, quindi un declino nel declino.

Una zona del South Bronx negli anni '70

Una zona del South Bronx negli anni ’70

Ben presto il declino del Bronx si trasformerà in distruzione vera e propria. Un articolo del ‘New York Times’ della metà degli anni ’70 ricordava come venti, trenta, quaranta volte al giorno, l’urlo delle sirene e il fumo acre degli incendi salissero tra la povertà e le macerie del Bronx. «Tutti nel quartiere dormono con un occhio aperto e uno chiuso per paura degli incendi», dichiarava un residente sempre al ‘New York Times’. «Qualche volta», aggiungeva un altro, «sembra quasi che stia arrivando un attacco aereo». E in effetti, come abbiamo visto, gli incendi potevano portare ad un paragone, forse esagerato dal punto di vista del movente della distruzione, ma non da quello dei suoi effetti, tra il South Bronx del 1975 e le rovine della Dresda del 1945. In effetti, il cambiamento del paesaggio urbano poteva essere traumatico proprio come quello determinato da un evento catastrofico: «Sabato sera», ricordava una negoziante del South Bronx, «ho lasciato il mio negozio, quando sono tornata lunedì l’intero isolato era andato perduto». A partire dagli anni ’60 nei quartieri più poveri, e ovviamente nel South Bornx, una prima ondata di incendi è causata dal deterioramento legato all’età dei palazzi e dalla loro minore resistenza a incidenti domestici che in condizioni di sempre maggiore sovraffollamento e minore sicurezza si trasformavano facilmente in roghi devastanti. Con il declino, valori e profitti immobiliari inevitabilmente si riducevano, e questo spingeva i proprietari a non investire più nella manutenzione e nella sicurezza dei loro edifici. Ai loro occhi, di fronte ad affitti sempre più bassi e irregolari, ogni dollaro investito in opere di ristrutturazione e manutenzione non poteva che sembrare un investimento azzardato che con ogni probabilità non sarebbe mai stato remunerativo. Inoltre, come dicevamo, bisogna anche considerare come fosse impossibile per i proprietari in quegli anni ottenere un prestito in una di queste aree (“redline”, l’espressione viene dalla pratica degli istituti di credito di segnare in rosso le aeree in cui non concedere prestiti) per investire nella manutenzione del proprio immobile. Nel ’74 gli incendi nel South Bronx saranno 12.300, più di un quinto di quelli dell’intera area di New York, con una popolazione che era ovviamente una piccola parte di quella complessiva. Per anni, l’eccezionalità di quello che accadeva nel South Bronx e in altri quartieri rimarrà largamente inesplorata dai media nazionali, ma al picco della crisi, nella seconda metà degli anni ’70, le cose inizieranno a cambiare, e l’aspetto che più attirerà l’attenzione della stampa sarà senza dubbio quello più appariscente ma non necessariamente quello più importante per capire le origini del fenomeno, vale a dire la diffusione degli incendi dolosi.

L’ondata dei roghi dolosi non era il frutto di un inspiegabile eccesso di piromania di massa, quanto il risultato aggregato di decine di migliaia di decisioni individuali che erano in fondo coerenti con gli assunti razionali della teoria economica. Molti proprietari scopriranno che il mero non investire nel proprio immobile non era più sufficiente ad assicurare un qualche ritorno economico. A fronte di un calo vertiginoso della loro redditività, la distruzione dei loro beni diverrà di fatto l’unica possibilità di trarne un qualche profitto o quantomeno una qualche indennizzazione. Saranno quindi molti i proprietari che organizzeranno i roghi dolosi volti ad incassare gli indennizzi delle assicurazioni. La psicologia dei proprietari e la loro reazione a queste sempre nuove ondate di paura economica, saranno le forze scatenanti di questa ulteriore fase di investimento e di distruzione del quartiere. La decisione di passare all’azione da parte di un proprietario si trasformerà in un invito indiretto rivolto agli altri proprietari a procedere nella stessa direzione. «Spingi gli inquilini ad abbandonare l’appartamento tagliandogli l’acqua e il riscaldamento, accertati che l’assicurazione antincendio sia stata pagata, e infine assumi qualcuno incaricato di appiccare l’incendio», questa secondo il ‘Time’ era la normale programmazione del progetto incendiario. Un incendio nel South BronxPiù della metà degli arrestati per il grande rogo che scoppierà nel giugno del ’75, uno fra i tanti per la verità, saranno minori di 16 anni. «Un tipo è venuto da me e mi ha detto: “tu sei il tipo di persona che darebbe alle fiamme un palazzo?”, io gli ho risposto “sì, certo, lo farei per soldi”», raccontava un ragazzino, che poi precisava l’importo del salario incassato per la distruzione di una palazzina di quattro piani: sette dollari, che potevano ridursi addirittura a tre in altri casi. Inoltre distruggere la propria abitazione sarà il modo più sicuro per ottenere una casa migliore, magari di edilizia pubblica. In questo caso lo scatenarsi dell’incendio è preceduto dalla rimozione rituale di tutto l’arredamento e da una ordinata evacuazione della famiglia del piromane. All’interno dell’edificio magari rimaneva solo un materasso gonfio di benzina, piccolo accorgimento per massimizzare la potenza del focolaio. Nello stesso South Bronx, ricorda Jill Jones, in un suo bellissimo libro sul Bronx, South Bronx Rising: The Rise, Fall, and Resurrection of an American City, cartelli molto visibili negli uffici dell’assistenza pubblica recitavano in inglese e in spagnolo: “L’unico modo per avere priorità nelle liste d’attesa per un nuovo alloggio è che casa tua vada a fuoco”. La stessa autrice raccontava poi delle maestre del South Bronx che in più di un caso ricevevano le confessioni divertite dei loro alunni che dicevano loro: «Abbiamo le valige pronte, questa è la settimana dell’incendio». Ad ogni modo, per anni sarà molto facile, soprattutto da parte di molti giornalisti conservatori, dare la responsabilità della distruzione del South Bronx come di molti altri quartieri del paese, a piromani che distruggevano i propri immobili e magari alle popolazioni impoverite che ricorrevano a questi “trucchetti” per ricevere una condizione abitativa migliore. Sarà particolarmente facile perché questo permetterà all’establishment di voltare le spalle e di ignorare le pesanti responsabilità che avevano avuto nel declino e nella distruzione di molti quartieri urbani e nella segregazione e abbandono delle popolazioni più povere.

Di fronte a quella che sarà definita un’epidemia incendiaria che distruggerà interi quartieri della città a partire dal South Bronx, all’inizio la risposta della città sarà abbastanza coerente: si spenderanno più soldi nel servizio antincendio e si apriranno nuove stazioni antincendio nel South Bronx, ma dopo qualcosa cambiò, e con la crisi finanziaria della città, si cominceranno a tagliare i servizi antincendio abbastanza misteriosamente proprio nelle aeree in cui se ne aveva più bisogno. Nel 1976, Roger Starr, il così detto housing commissioner (potremmo definirlo come l’assessore alla casa della città di New York) dichiarerà alla stampa che l’unica possibilità per intervenire sul declino della città e sul continuo restringimento della sua base fiscale, risiedeva in una politica che semplicemente prendesse atto dell’irrecuperabilità di alcuni dei suoi quartieri. Negli anni precedenti, ricerche e modelli prodotti da un’organizzazione legata al settore militare che si occupava anche di questioni civili, molto nota negli Stati Uniti, la Rand Corporation, aveva dimostrato come il livello di offerta dei servizi condizionasse pesantemente l’andamento demografico di un quartiere. «Tagliate i servizi di base», questo era l’argomento di Roger Starr, ripreso dalla Rand, «e la popolazione tenderà a ridursi naturalmente». Chiuse le stazioni della metropolitana, interrotta la raccolta della spazzatura, chiuse le scuole, le stazioni antincendio e tagliata l’illuminazione pubblica, gli abitanti del Bronx e di alcune aeree di Harlem e di Brooklyn avrebbero lasciato le loro case per così dire “spontaneamente”, fino a svuotare del tutto questi quartieri. La politica proposta da Starr venne definita da lui stesso una politica del «restringimento pianificato»: finalmente svuotati dai loro abitanti, i quartieri in preda alla distruzione incendiaria potevano essere così restituiti alla natura in attesa di tempi migliori. In altre parole, per Starr, nella prospettiva di medio periodo era meglio trasformare quello che restava del South Bronx in una foresta, piuttosto che tentare di limitare i danni contenendo l’avanzata della distruzione. L’impatto di una tale politica era di facile intuizione: da un lato il taglio dei servizi avrebbe facilitato la distruzione, e dall’altro l’annientamento dei quartieri più poveri avrebbe eliminato il problema della povertà, che era anche un problema fiscale per la città, perché i poveri pagavano meno tasse e avevano bisogno di molti servizi. La proposta di Starr ricevette ovviamente molta attenzione ma pochi consensi espliciti, anzi, la sua strategia venne inevitabilmente interpretata come la riedizione di quelle tante politiche che avevano avuto l’ambizione di “ripulire” le città dalle popolazioni indesiderate, a partire dalle comunità delle minoranze.

Il sindaco di New York respingerà la proposta, costringendo di fatto Starr a lasciare l’amministrazione comunale e la politica. Ma nonostante l’allontanamento di Starr dal potere, saranno in molti a pensare che in realtà lui non avesse fatto nient’altro che dichiarare apertamente quella politica che l’amministrazione aveva già di fatto portato avanti negli anni precedenti, rimuovendo i servizi antincendio proprio nelle aeree in cui gli incendi si concentravano. Una New York sull’orlo della bancarotta, questo era stato l’argomento, aveva bisogno di tagliare i servizi, ma guarda caso i servizi erano stati tagliati proprio dove ve ne era più bisogno e non magari nella aeree upper e middle class in cui si verificavano meno incendi. Il 16 settembre 1976, a pochi mesi dalla formulazione di quella proposta apparentemente folle ma che invece era condivisa da molti di quelli che erano al potere in città in quegli anni, Roger Starr sarà più o meno costretto a dimettersi e ad abbandonare di fatto la carriera politica. Qualche decennio dopo, oggi, nel 2013, il South Bronx è completamente mutato, perché a partire dagli anni ’80 farà esperienza di una rinascita che avrà del miracoloso: da un certo punto di vista, la radicalità della distruzione sarà la ragione principale della sua stessa rinascita. Scomparso il mercato immobiliare, a un certo punto addirittura scomparsa la proprietà privata degli immobili, perché la città acquisirà tutti questi terreni e questi edifici in abbandono, il nuovo sindaco di New York potrà lanciare un grande piano che darà la possibilità a gruppi comunitari di prendere molti di questi edifici, ricostruirli, ristrutturarli, talvolta addirittura con il lavoro volontario delle persone che ne sarebbero diventate i futuri inquilini. Nel giro di pochi anni quindi, grazie a una ripresa più generale della città, il South Bronx risorgerà dalle sue ceneri, ritornerà alla popolazione di un tempo e tornerà ad essere un quartiere di classi popolari che però avranno finalmente accesso ad alloggi di buona qualità e a discrete condizioni di vita. Certo, in molte parti al posto degli edifici ci saranno prati e casette costruite al posto loro. «Visto che le strutture delle città sono “ossute”», dirà Roger Starr, «la città resiste ai cambiamenti che le sono richiesti. I palazzi resistono così efficacemente agli incendi da costringere gli amministratori della città a pianificare consciamente la distruzione come precondizione della ricostruzione». Starr lamentava che «non si può più fare affidamento sulle catastrofi per rimuovere edifici obsoleti, anche se in passato questo è stato utile». Quindi nella visione di Starr, visto che le catastrofi non avvenivano più tanto spontaneamente, bisognava in qualche modo provocarle o almeno facilitarle, perché in questo modo la macchina della crescita urbana e la macchina dei profitti urbani poteva di nuovo ripartire, anche se doveva ripartire da un tappeto di macerie com’era stato il South Bronx degli anni ’70.

Ascolta la puntata di ‘Wikiradio’.

ALESSANDRO COPPOLA, è dottore di ricerca al Dipartimento di studi urbani dell’Università degli studi Roma Tre. Ha insegnato e svolto attività di ricerca presso il Politecnico di Milano, l’Università Ca’ Foscari di Venezia e la Johns Hopkins University di Baltimora (USA). È autore di Apocalypse Town. Cronache dalla fine della civiltà urbana (Laterza 2012). Ha ricevuto il premio “Lo Straniero” per l’anno 2012.

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