Andrea Segrè

451 Parole: giustizia

Giustizia: dal latino justus, ciò che è giusto e dovuto altrui. Una virtù morale, dice il Dizionario etimologico, per la quale si osserva in sé e in altri il dovere e il diritto. Ma anche la costante e perpetua volontà di dare e riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto. E ancora secondo l'Enciclopedia Treccani la giustizia è una virtù sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo le ragioni e la legge.

Giustizia: dal latino justus, ciò che è giusto e dovuto altrui. Una virtù morale, dice il Dizionario etimologico, per la quale si osserva in sé e in altri il dovere e il diritto. Ma anche la costante e perpetua volontà di dare e riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto. E ancora secondo l’Enciclopedia Treccani la giustizia è una virtù sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo le ragioni e la legge.

Gli psicologi sociali definiscono la giustizia come un giudizio che le persone compiono su eventi e il desiderio di giustizia come un importante motivatore del comportamento sociale umano. Secondo alcuni autori esistono tre tipi di comportamenti riferiti alla giustizia: quelli relativi alla distribuzione delle risorse comuni, di benefici ed oneri, ovvero la giustizia distributiva; quelli relativi alle procedure di decisioni circa tale distribuzione (la giustizia procedurale); e quelli relativi al trattamento di coloro che sono implicati da tali decisioni (giustizia interazionale)1. Ma, come mostra la letteratura2, le persone non sempre riflettono e considerano tali questioni riguardanti la giustizia e l’equità nel momento in cui devono dare dei giudizi su un evento o su una determinata persona o gruppo. In altre parole: un’ingiustizia nell’applicazione della giustizia (sembra un gioco di parole ma non è così).

Un valore quindi che sembra perso oggigiorno, agli occhi di molti, forse dei più. Giusto è colui che agisce secondo giustizia, con equità, con senso della misura. Ma giusto è anche chi non eccede né in più né in meno. “Basta il giusto”: un’espressione che sento molto perché richiama non solo la quantità – spesso eccessiva, il troppo – del nostro tempo, ma anche a un senso di giustizia che, per l’appunto, ci è sempre più estraneo, lontano.

Enzo Bianchi

Enzo Bianchi

Fame e sete di giustizia, dice il Vangelo. «Stare dalla parte degli affamati rientra tra le opere di giustizia3» , anche umana. Scrive Enzo Bianchi ne Le vie della felicità: «chi ha fame è certamente un povero, anzi è il povero per eccellenza, che non riesce ad avere neppure il sostentamento, ciò che gli permetterebbe di restare in vita, e dunque è una vittima4». Gli indigenti, i poveri o – come preferisco chiamarli io – consumatori (temporaneamente) senza potere di acquisto: vittime dell’ingiustizia, della storia, della legge dei mercati. Ma cosa significa essere affamati?

Affamato è il povero Lazzaro alla tavola sovrabbondante del ricco (Lc, 16,19-31), ma sono anche le vittime della perdita e dello spreco di cibo. Nel mondo infatti si spreca una quantità tale di cibo – 1 miliardo e 300 milioni di tonnellate, da poter far mangiare due miliardi di esseri umana, che sono il doppio degli affamati. Si tratta di uno dei più incredibili paradossi del nostro tempo di crisi. Cresce la popolazione umana, saremo 9 miliardi nel 2050 e dovremo tutti mangiare e bere, e dunque aumentare la produzione agricola del 60% secondo le stime della FAO. Eppure già a oggi un terzo della produzione agricola mondiale si perde e si spreca. Come dire che perderemo e sprecheremo, direttamente, un quinto di questo necessario incremento, il 20 per cento. Volendo dar da mangiare a tutti dovremo, in altre parole, anzi numeri, aumentare la produzione dell’80%. È la giusta misura questa? Certo che no. Se non si rimedia prima alle perdite e agli sprechi è inutile aumentare la produzione di cibo per “Nutrire il pianeta”, come è il titolo di Expo Milano 2015.

Ma a parte il riferimento alla fame e alla sete (di giustizia), probabilmente la nostra è un’epoca tanto ricca di ingiustizie e disuguaglianze, quanto e soprattutto povera di prospettive: soprattutto per i giovani che nascono già caricati di un debito insostenibile non solo dal punto di vista economico. I vecchi ricchi, nel senso dei paesi che continuano a rifinanziare il debito accumulato, sono ormai i nuovi poveri. La povertà si sta generalizzando via via che si esauriscono le risorse ecologiche prese a prestito dal futuro.

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