Roberto Quagliano

Le interviste impossibili: Jack London

pescatore clandestino di ostriche, marinaio, operaio in una fabbrica di conserve, raccoglitore di iuta e di cotone e infine cercatore d'oro: basta? Fui anche internato in un penitenziario giovanile dove iniziai a divorare libri su libri… da quelli di Darwin agli scritti di Marx, pensi un po’.

 

Questo articolo è la trascrizione della puntata di “Le Interviste impossibili” dedicata a Jack London. La serie TV è prodotta da Kamel Film in collaborazione con RAI Cultura: sei puntate di 30 minuti l’una.

Roberto Quagliano è autore di testi, sceneggiatura e regia. 
Giulia De Florio, Giovanna Buonanno, Annamaria Contini del dipartimento di lingue e letterature straniere dell’Università di Modena e Reggio Emilia hanno curato la supervisione scientifica dei testi.
Il progetto riprende l’esperienza fatta da Radio RAI con le interviste ai grandi scrittori e personaggi del passato.
Questa versione televisiva di quella esperienza si dedica a sei scrittori che la serie radiofonica non trattò:
Emily Brontë (1818-48), Lev Tolstoj (1828- 1910), Arthur Conan Doyle (1859-1930), Marcel Proust (1871-1922), Jack London (1876-1916), Ernest Hemingway (1899-1961).

L’intervista agli scrittori sopra menzionati è ricostruita come fosse un’intervista televisiva spiata da una telecamera nascosta.

Il taglio ricalca, in parte, quanto già fatto con le interviste impossibili di Radio RAI realizzate dai grandi scrittori italiani attivi all’epoca della realizzazione della serie radiofonica negli anni ’70 del Novecento. E quindi Eco, Calvino, Ceronetti, Manganelli, Arbasino e i numerosi altri che hanno contribuito a rendere così famosa quella serie. La nostra versione in larga parte si è basata sui nuovi spunti critici, sia sull’opera che sulla vita degli stessi autori, apparsi negli articoli della ‘New York Review of Books’ di cui Kamel Film cura una versione ridotta in italiano. Nell’immaginario dialogo fra l’intervistatore e lo scrittore si ripercorrono sia le esperienze di vita, spesso movimentate e avventurose, sia la poetica. Poetica considerata di per sé stessa e in relazione agli avvenimenti storici contemporanei alla vita dello scrittore. Quindi i movimenti artistici a cui essi si sono contrapposti o a cui hanno aderito e in generale l’esperienza come artisti in relazione al clima culturale che hanno condiviso durante la loro vita.
Una parte delle interviste è dedicata alla ipotetica interpretazione delle tematiche del presente viste attraverso gli occhi di questi grandi del passato. Molte tematiche del presente furono parte del bagaglio intellettuale di tutti loro e già allora da essi furono posti temi ‘moderni’, a noi contemporanei, con un approccio di sfida nei confronti della cultura egemone nella società in cui vissero.

 

Scena rappresentata con altri attori in campo con tecnica ‘VideoLiterature’:

“Joe entrò nella bottega di Silverstein in un caldo pomeriggio di sabato per rinfrescarsi con un gelato alla soda. Lei non aveva notato il suo ingresso, essendo occupata con un altro cliente, un moccioso di sei o sette anni

‘Gelato alla soda, per piacere’

‘Che gusto?’ 

Non era sua abitudine far caso ai giovanotti. C’era qualcosa in loro che non capiva. Il modo con cui la guardavano la metteva a disagio, non sapeva perché; mentre c’era in loro una grossolanità e una rudezza che non le piacevano. Fino ad allora la sua immaginazione era rimasta intatta dagli uomini. Se le avessero chiesto di dare una motivazione per la presenza degli uomini sulla terra, sarebbe stata perplessa sulla risposta.

In quanto a Joe non aveva mai visto nulla di simile a quella ragazza al di là del bancone. La sua immaginazione non era stata toccata dalla donna più di quanto quella della ragazza non lo fosse dall’uomo. Ma veniva toccata ora, e la donna era Genevieve.

Non aveva mai sognato che una ragazza potesse essere tanto bella… e non poteva evitare di osservarla.

Ma quando lei alzò lentamente gli occhi e mantenne fisso lo sguardo, furono gli occhi di lui che si abbassarono e le guance di lui che si tinsero di rosso. Lei non era meno imbarazzata di lui, ma non tradiva il proprio imbarazzo. Si rendeva conto di un’agitazione interna, quale non aveva mai conosciuto prima, ma non alterò in alcun modo la sua serenità esteriore. Joe, al contrario, era chiaramente impacciato e incantevolmente afflitto.”

Inizio intervista:

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Int.: Mr. London, in questo racconto mostra una sensibilità inaspettata verso gli stati d’animo di una ragazza di vent’anni se si pensa alla sua irruenza come uomo e come scrittore

JL: perché ha scelto questo brano?

Int.: come dicevo, l’ho trovato in contrasto con una scelta di vita che pare mostrare scarsa considerazione per i toni lievi dei rapporti umani

JL: quale scelta?

Int.: l’avere, per esempio, abbandonato la prima moglie con due figlie piccole. Lei, che aveva sperimentato l’abbandono del padre fin dalla nascita

JL: …. (silenzio con immagini di lui di schiena fermo) questa cosa ha accompagnato la mia vita… a un certo punto riuscii a ricostruire un rapporto con una delle mie figlie… cercai un rimedio tardivo all’impossibilità di vivere a vent’anni la favola di una famiglia felice; non ce la facevo a stare fermo in famiglia… cosa fare per combinare due esigenze così diverse?

Int.: a volte i grandi artisti abbandonano moglie e figli piccoli per seguire il loro talento… prima erano uomini che abbandonavano donne… ora è più facile siano donne ad abbandonare … ma si tengono vicino i figli…

JL: me lo dice lei e le credo… una costante nelle biografie degli artisti può essere motivo di analisi interessanti

Int.: leggendo l’autobiografia di Ingmar Bergman, il grande regista, ho notato, per fare solo un esempio, che non fa mai cenno ai sette figli, ma alle sue donne spesso. Solo una volta racconta di un figlio, praticamente mai visto, che a 18 anni andò a trovarlo per insultarlo. Appare come un rompipalle viziato, poveretto

JL: invece il vero rompipalle sarebbe …

Int.: torniamo alla sua scrittura: lei, che subì l’abbandono del padre e a sua volta ha abbandonato, raggiunge sfumature così poetiche nel descrivere i personaggi appena visti… che ho trovato la cosa sorprendente

JL: chi ha un’impressione precedente è ovvio si trovi spiazzato di fronte all’inatteso. È comprensibile… da dove iniziamo?

Int.: le prime esperienze di vita e di lavoro? Sia creativo che non…

JL: pescatore clandestino di ostriche, marinaio, operaio in una fabbrica di conserve, raccoglitore di iuta e di cotone e infine cercatore d’oro: basta? Fui anche internato in un penitenziario giovanile dove iniziai a divorare libri su libri… da quelli di Darwin agli scritti di Marx, pensi un po’. Fondamentale per la mia presa di coscienza politica.

Int.: affrontiamo quel punto più avanti? Cosa successe che la portò alla scrittura. Perché un ragazzino così vivace e pieno di voglia di fare si mette a un tavolo a scrivere?

JL: l’amore per ciò che fai ti fa desiderare di condividerlo, di non perderlo… anche per te stesso… perché non se ne vada per sempre dalla tua memoria

Int.: ma lei scrive in modo straordinariamente letterario e spesso lirico… i suoi non sono solo appunti o note descrittive. La sua lingua è estremamente sofisticata

JL: beh… mi piaceva scrivere e rileggere quello che scrivevo, quindi lo facevo, com’ era nella mia natura di uomo, per qualsiasi cosa mi piacesse: tutto lì. Fui mandato in diversi centri di rieducazione, dove vissi per mesi, e non considerai questa una privazione, ma un’occasione per imparare cose sulla vita… dovevo essere un vero diavolo… ero il primo a sfidare chiunque anche lì… e non c’era gente troppo raccomandabile… non avevo paura delle botte o delle fatiche fisiche… avevo evidentemente una notevole esuberanza fisica…sono nato così… imparai che paura e coraggio dovevano camminare insieme, non potevano essere separate una dall’altra… e vivere nella paura, essendone annichilito, era una prospettiva che mi faceva tremare le vene… non potevo accettarlo, mi faceva star male con me stesso. Quando tornai a casa non mi misi a fare il bravo ragazzino, ma cominciai a lavorare. Come strillone…

Int.: pochi anni dopo e nella stessa zona faceva lo strillone anche Frank Capra, appena giunto a sei anni dall’Italia con una storia alle spalle pazzescamente fantastica… uno degli edificatori dell’immaginario mitico americano, che inoltre diede impulso al luogo comune dell’artista americano moderno che inizia la carriera facendo mille lavoretti umili.

JL: a diciassette anni mi imbarcai su una nave di cacciatori di foche in rotta verso il Giappone… cominciai subito a fare la vita che mi piaceva… avevo letto tutto Kipling ed ero assetato di avventura… addirittura da piccolo leggevo il dizionario per scoprire parole nuove che mi affascinavano… ne intuivo l’importanza per comprendere ciò che volevo fare… mi affascinava anche la loro origine… cosa le aveva portate ad essere nella forma in cui erano

Int.: ne intuì l’importanza anche per costruire la realtà stessa?

JL: in che senso?

Int.: qualcuno sostiene che le parole costruiscano in senso quasi fisico la realtà… che non vedresti neppure se non vi fosse la possibilità di descriverla proprio con le parole

JL: interessante prospettiva… il Signore nella Bibbia viene definito con i termini Parola o Verbo… e non è lui che ha creato il mondo e quindi la realtà?

Int.: crede in Dio quindi?

JL: discorso troppo lungo… fare il cercatore d’oro fu l’esperienza che mi fece creare i primi personaggi che mi diedero soddisfazione… e non a caso vennero dopo esperienze fisiche e morali devastanti. L’educazione non bastava. Gli scrittori americani, fino allora, non avevano avuto il coraggio di arrivare all’anima delle cose. Io volevo una letteratura che sapesse di vita vera e non di biblioteche. Quella che trovavo nei romanzi di Kipling per esempio.

Int.: ne parliamo dopo se vuole. Quali altre esperienze considera importanti per la sua vita di uomo e di artista?

JL: in quel penitenziario giovanile iniziai a divorare libri e al ritorno, a 18 anni, era il ’94, aderii alle idee socialiste… partecipai a una marcia su Washington per chiedere al Presidente di finanziare programmi contro la devastante povertà e la mancanza di lavoro… Ma mi stufai dopo un po’ della marcia… non vedevo risultati immediati… ne approfittai per vagabondare per il mio paese, gli Stati Uniti d’America

Int.: il viaggio senza meta: un altro mito della cultura americana che ha attraversato il Novecento

JL: pare di sì… tenni un diario di quel viaggio, che divenne il romanzo The Road.

Int.: ‘On the Road’ di Kerouac, ‘The Road’ di Cormac McCarthy … l’hanno seguita in molti e importanti scrittori

JL: il primo più vicino alla mia esperienza, forse, anche se più disperato… il secondo mi pare lontano dalla mia sensibilità. Un bellissimo romanzo, ma narra una realtà che non esiste… senza speranza… più che descrivere l’esistente tratta un’altra cosa

Int.: cosa?

JL: la precarietà della figura del padre nella società americana… più che una descrizione della realtà, è una sua analisi e interpretazione.

Int.: ne abbiamo parlato prima in qualche modo. Metà letteratura americana, per non dire del cinema, tratta di quella precarietà, di quella inconsistenza, in modo diretto o sotto mentite spoglie… l’inconsistenza di quella figura per lei cos’ha significato?

JL: chi può dirlo? … ci ho riflettuto, senza arrivare a conclusioni affidabili… può avermi dato la spinta ad agire e a reagire, che mi abbia fatto girovagare per il mondo e diventare scrittore… come dice quel detto? Ciò che non uccide, ingrassa!

Int.: torniamo alla scrittura: tanti hanno compiuto studi sporadici ma avevano grande sete di letture. Però lei e pochi altri, partendo così sfavoriti, hanno saputo trovare questa capacità di scrivere… e in maniera così abbondante e sofisticata nel suo caso.

JL: c’è chi è dotato nel baseball, e forse chi è dotato nello scrivere. Casualità

Int.: ma dicevamo che scrivere crea il mondo, non così il baseball

JL: quindi?

Int.: non saprei onestamente… La presenza di un’entità superiore che dispone e decide?

JL: beh, qui proprio non la seguo.

Int.: torniamo alle esperienze di lotta in qualche modo politica: fine Ottocento e tutto l’inizio del Novecento furono segnati da quell’ urgenza

JL: non si poteva camminare per le strade delle città senza vedere dovunque miseria e povertà, a cui i governi non davano risposta. Cosa pensavano? Che non avrebbe mai reagito nessuno? Bisognava reagire… ma io abbinavo a quell’ esigenza uno spirito troppo individualista per farla diventare una scelta di vita

Int.: per un periodo fu importante

JL: molto… ma vedendo cosa successe poi e come furono distrutte, a partire dalla fine degli anni ‘10 del Novecento, le organizzazioni sindacali e i partiti che sostenevano quelle lotte… da parte delle istituzioni americane, dell’FBI soprattutto … è avvilente.

JL: quella spinta ideale però favorì il fiorire della grande letteratura americana e non solo americana. Una parte consistente della nostra letteratura, Steinbeck, Dos Passos, Dreiser, Caldwell, produsse le cose migliori quando condivise quell’ideale politico… quando, più avanti, alcuni di loro si spostarono sul fronte della conservazione… spinti dalla repressione poliziesca e dalle notizie sul socialismo reale… avevano perso la loro vena migliore.

Int.: anche Hemingway negli anni Trenta ebbe il suo periodo impegnato. La sua scrittura è avvicinata alla sua. Ma le differenze mi paiono enormi. La sua scrittura è partecipe del grande romanzo sociale ottocentesco, quella di Hemingway se ne distacca totalmente

JL: il suo rifiuto di aggettivazione, di concedere alle emozioni un ruolo nella scrittura,,. è così estremo che ricorda le istruzioni dei prodotti commerciali. Il dialogare dei suoi personaggi, sintetico e denotativo, a volte è irritante… Ma ho notato una cosa: se ti lasci condurre dalla sua scrittura con pazienza, percepisci cose che probabilmente la mia scrittura non consente… È probabile che ognuno, se vale, abbia una sua funzione all’interno del discorso più generale e storicistico della letteratura.

Int.: diceva di Dreiser e Dos Passos prima…

JL: uscirono contemporaneamente questi due romanzi fantastici: ‘Una Tragedia Americana’ di Dreiser e ‘Manhattan Transfer’ di Dos Passos. A mio avviso costituiscono il discrimine nell’ approccio che un autore ha nei confronti dei suoi personaggi… e della realtà che essi vivono. Entrambi i romanzi trattano di discriminazione e ingiustizia nel momento dello sgretolarsi delle convenzioni sociali vittoriane, quelle stesse convenzioni contro cui lottai anch’io per tutta la vita… convenzioni ancora così importanti per gli eletti della società americana… quella società caratterizzata per esempio dai circoli esclusivi che non accettavano come loro membri gli ebrei, o i cattolici… per non parlare dei neri… mi pare che ancora oggi in realtà …

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Testo da ‘Il Popolo degli Abissi’ letto fuori campo su immagini di repertorio

“Non c’è luogo, nelle strade di Londra, in cui sia possibile evitare la vista della miseria più abietta, e, ovunque vi troviate, basta camminare cinque minuti per raggiungere qualche tugurio; ma la zona in cui il mio cocchiere si addentrava era un tugurio senza fine. Le strade erano popolate da una razza nuova e diversa, da persone basse di statura, con un’aria disperata o alticcia. Qua e là barcollavano un uomo o una donna ubriachi, e c’era un’atmosfera disgustosa di urla e risse. In un mercato, vecchi malfermi frugavano nella spazzatura, in mezzo al fango, alla ricerca di patate, fagioli e verdure marce, mentre i bambini piccoli si radunavano come mosche intorno a un mucchio di frutta in putrefazione, affondando le braccia fino alle spalle e ricavandone qualche pezzetto solo parzialmente andato a male che divoravano sul posto.”

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Int.: la differenza fra l’approccio ai personaggi da parte di Dos Passos e di Dreiser e, in relazione con essi, il suo approccio ai personaggi?

JL: come nei miei ‘Il Popolo dell’Abisso’ e ‘Il Tallone di Ferro’, Dos Passos e Dreiser affrontano il sociale della povertà americana… centrale in quel periodo di lotte e guerre… ma sono romanzi differenti fra loro per ciò che dicevo sopra.

Int.: la tradizione del romanzo sociale Ottocentesco  da una parte e il rifiuto di quella tradizione li distingue… e di conseguenza distingue anche lei? …

JL: ‘Una Tragedia Americana’ è inserito in quella tradizione, anglosassone e non solo. Il romanzo sociale è caratterizzato dallo sguardo con cui il narratore ‘osserva’ i personaggi del suo romanzo… il suo sguardo è partecipe delle loro sorti, è permeato di ‘pietas’ nei loro confronti e questa coinvolge emotivamente il lettore… io sono dentro quella tradizione da questo punto di vista, ma ho cercato di distanziarmene, nelle atmosfere che ho creato, direi… come dicevo prima volevo una letteratura che sapesse di vita vera e non di biblioteche… inoltre in quei romanzi i personaggi sono sottoposti a una sorta di verdetto di colpevolezza o innocenza che traspare dalle parole del narratore, che diviene in questo modo loro giudice… probabilmente anch’io ho un approccio simile… all’opposto ‘Manhattan Transfer’… Dos Passos descrive le vicende dei suoi personaggi in maniera algida, non manifesta pietas nei loro confronti, non partecipa delle loro emozioni… Hemingway, che gli fu molto vicino e molto amico, subì la sua influenza, pur trasformandola in qualcosa di ancora più cinico, quasi freddo… ma non parlavamo di Hemingway… l’atteggiamento di Dos Passos potrebbe essere definito, in maniera superficiale, anch’esso ‘cinico’… ma questa è una novità nella storia del romanzo occidentale… lui ci dice che non ci sono più innocenti e colpevoli nel mondo contemporaneo… i personaggi sono tutti innocenti e tutti colpevoli allo stesso tempo… non c’è più requie per loro: la speranza è esaurita. Siamo al giorno dopo la catastrofe… io sono prima della catastrofe, nei miei romanzi c’è il giudizio e c’è la speranza… è questa la differenza con la migliore letteratura venuta dopo di me

Int.: ebbi un’impressione simile su due film che uscirono a fine millennio, molti anni dopo quindi… avevano un approccio nuovo rispetto al cinema precedente: ‘Magnolia’ e ‘American Beauty’… mi parve che rappresentassero un punto di svolta simile. Il loro approccio stilistico era nuovo nel cinema… ne intravidi un’ascendenza letteraria precisa, ma non riuscii a scovarla… è forse quella di cui parla lei?

JL: se ‘Magnolia’ e ‘American Beauty’ sono caratterizzati da questo approccio, se i due registi non mostrano pietas, e tantomeno pietà, nei confronti dei personaggi, se il loro sguardo è freddo, se non c’è partecipazione alle vicende di questi… direi senz’altro di sì. Ha avuto impressione che in quei film i personaggi fossero tutti ugualmente colpevoli?

Int.: è esattamente questo il punto e la loro novità … ma… veniamo alla sua esperienza come cercatore d’oro? Ha fatto scuola anch’essa nel cinema contemporaneo. Il film ‘In to the Wild’ di Sean Penn racconta l’esperienza di Christopher McCandless, un ragazzo americano benestante che dopo la laurea decide di donare a un’organizzazione umanitaria il denaro che i genitori gli avevano dato per continuare gli studi… e poi abbandona amici e famiglia per sfuggire una società consumista e capitalista nella quale non riesce più a credere. Egli attribuisce la sua inquietudine alla lettura dei suoi romanzi… lo dichiara apertamente … e queste letture lo portarono ad attraversare a piedi per due anni gli Stati Uniti… fino a giungere pure lui in Alaska nel tentativo di rifiutare una società intollerabilmente ingiusta.

JL: con un primo racconto vinsi un premio… qualcuno cominciò a notarmi… ma quel premio non mi diede abbastanza da vivere, come avrebbe potuto… sentii come fosse possibile fare soldi come cercatore d’oro in Alaska… e così partii… la voglia di avventura mi guidava… non credo fosse il desiderio di far soldi. Nel 1897 mi unii alla “corsa all’oro” nel Klondike. Purtroppo, la dieta non fu così salutare, consisteva soprattutto in bevute di whisky e rari pasti… ma il sacrificio fisico mi esaltava, anche se lasciò i suoi segni… sopravvissi al Klondike e ne venne fuori lì per lì il mio miglior racconto, Fare un fuoco, storia di un tipo che sottovalutando la forza della natura muore assiderato perché incapace di accendere un fuoco… Quando tornai a Oakland, mi lanciai a testa bassa alla conquista del mondo letterario… non fu facile, anche se debbo dire che non ci volle molto tempo per aprire quella maledetta porta

 

Int.: quale porta?

JL: quella del successo per la miseria … un giornale locale mi comprò per soli 5 dollari il primo racconto e poi attesi… ma non sono mai stato un tipo che sa attendere con pazienza… ero ormai sul punto di arrendermi, quando una rivista mi offrì 40 dollari per un altro racconto… in breve tempo divenni uno degli scrittori più pagati e famosi… non potevo certo lamentarmi… ogni mattina mi svegliavo prestissimo per scrivere… cinquanta tra romanzi e saggi, centinaia di racconti e articoli sugli argomenti più vari. L’Alaska mi portò storie e fortuna: Il richiamo della foresta, Zanna bianca… divenni famoso in tutto il mondo

Int.: allo stesso tempo la sua controversa personalità la condusse sulle copertine dei rotocalchi. Si scagliava volentieri contro ogni tipo di ingiustizie e soprusi… era abile anche come oratore

JL: a un certo punto però mi stancai della città, che era una vera trappola per gli uomini, così mi trasferii con Charmian, la donna che finalmente sentivo di amare, a Glen Ellen. Volevo costruire un ranch e trasformare la mia passione per la natura in un’attività commerciale vera e propria…

Int.: ma si stancò anche di quello

JL: lei sa troppe cose… sì! Volevo viaggiare di nuovo, questa volta per mare, e mi feci costruire una barca per esplorare il mondo scrivendo… volevo portare Charmian in tutto il mondo… volevo star via per sempre… durò più di due anni durante i quali vidi posti da non credere nel sud del Pacifico e in Australia… la salute precaria però mi inseguiva come un’ombra scura… tornammo così a Glen Ellen, il nostro ranch, e ci dedicammo a quello… ma… guadagnavo più di ogni altro scrittore ed ero così bravo da non aver mai soldi a sufficienza… fu la salute che mi fregò… e alcuni vizi che non mi davano tregua… a cui non sapevo rinunciare… il ranch comunque è rimasto e se volete vedere cosa volevo farne potete visitarlo

Int.: c’è un dubbio che aleggia sulla sua fine… lei faceva uso di morfina per tenere a bada i suoi dolori fisici e…

JL: avevo i reni compromessi e i medici l’attribuirono a quello… ma avendo l’abitudine di usare ogni tanto la morfina per calmare il dolore, un’abitudine che all’epoca avevano in molti, negli anni successivi si parlò di suicidio… il protagonista del romanzo più amato dal pubblico, Martin Eden, concludeva il romanzo col suo suicidio in mare, dopo aver raggiunto il successo letterario… fu naturale pensare che il suo autore avesse deciso una fine analoga… non fu così, amavo Charmian e amavo il mio ranch… e scrivere per me era un piacere irrinunciabile… ma come resistere alla tentazione di creare una sintesi così romantica e letteraria fra autore e personaggio?

Int.: queste immagini di Jack London sono state girate tre giorni prima della sua morte… guardandole, si fatica a credere che una persona così felice di giocare con un cucciolo di animale, con tale tenerezza e felicità… possa decidere di lì a poco… di togliersi la vita…

 

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