LETTERATURA. Paul Bowles, uno degli scrittori più importanti del secondo Novecento, in un ritratto di Edmund White, che diventa intimo e molto personale. L’autore del celeberrimo Tè nel deserto, il libro che viene analizzato in questo saggio, viene letto attraverso la personale vicenda di White, che ha rivissuto la storia dei due protagonisti del romanzo nel momento in cui ha intrapreso un viaggio in Marocco col suo compagno malato. E si chiede perché, quando sentiamo che la nostra ultima ora è vicina, il nostro desiderio è allontanarci dal mondo, cercare una zona isolata, magari lontano da strutture e medici che possono ancora curarci. Forse proprio per ritrovare noi stessi. E il Sahara diventa la meta per ripercorrere tutta una vita.
In un saggio sul Sahara, Battesimo di solitudine, Paul Bowles ci racconta molte cose interessanti sulle città oasi (in cui la fertilità delle piante coltivate è importantissima e gli uccelli sono odiati in quanto predatori di semi) e sui Tuareg, la tribù che vive nel deserto e il cui nome in arabo significa “anime perse”, anche se i Tuareg preferiscono definirsi “uomini liberi”. Ma ciò che Bowles (del quale lo scorso dicembre si sono ricordati i cento anni dalla nascita) apprezza nel deserto più di tutto il resto è la sua solitudine assoluta. «Perché andarci?» si chiede. La risposta è che quando un uomo è stato là e si è sottoposto a quel battesimo di solitudine non può più farne a meno. Una volta che qualcuno è stato sotto l’incantesimo della vasta, luminosa, silenziosa regione nessun altro posto può sembrargli altrettanto potente, nessun altro scenario può offrirgli la sensazione estremamente gratificante di trovarsi nel mezzo di qualcosa di assoluto. Tornerà lì di nuovo, per quanto alto sia il costo in termini di comfort o di denaro, perché l’assoluto non ha prezzo.