Radio3suCarta. Wikiradio. Alessandro Portelli racconta Luther King

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Alessandro Portelli racconta Martin Luther King

(Puntata dell’1 dicembre 2011)

Il 1° dicembre1955 aMontgomery, Alabama, la signora Rosa Parks di 42 anni, di professione rammendatrice, era in autobus. A quel tempo, nei trasporti pubblici di tutti gli stati del sud degli Stati Uniti e, quindi anche a Montgomery Alabama, vigeva una rigida segregazione razziale: i neri sedevano in fondo, i bianchi sedevano davanti. C’era una fila intermedia, una specie di zona di nessuno in cui i neri potevano sedersi se non c’erano bianchi che li volessero. Rosa Parks era seduta in questa fila, le viene chiesto di alzarsi per fare posto a un bianco, lei rifiuta di farlo, viene arrestata e da lì comincia la grande vicenda del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti. L’arresto di Rosa Parks diede il via a un boicottaggio di massa che durerà mesi, in cui tutti gli afroamericani rifiutarono di usare i servizi di trasporto pubblico a Montgomery, mettendo in crisi ovviamente l’azienda e, infine, ottenendo l’abolizione della segregazione nei trasporti. Questo è in sostanza il nocciolo di quello che successe in quel 1° dicembre di 56 anni fa.

Su questo episodio sono cresciute una quantità di leggende. In qualche modo, Rosa Parks, viene presentata come la perfetta figura della vittima: una povera vecchietta coi piedi gonfi, che torna dal lavoro, stanca, che non ce la fa ad alzarsi e che deve subire una violenta e dura repressione razzista. In realtà le cose erano molto più complesse e molto più articolate. Partirei raccontando un episodio che è successo a me qualche anno dopo.

A metà degli anni ’70 ero a Highlander, una scuola di formazione politica di base che era il fulcro del movimento per i diritti civili, del movimento sindacale, dei movimenti ambientalisti, nel sud degli Stati Uniti. Un luogo d’importanza enorme della resistenza civile nel sud degli Stati Uniti.

Ero appena arrivato, entro nell’ufficio del direttore di questa straordinaria scuola di Highlander e, mentre ci stavamo salutando entra la segretaria e dice: «Myles, c’è Rosa Parks al telefono».

Se qualcuno mi avesse detto «c’è Che Guevara al telefono», mi sarei emozionato di meno. Rosa Parks era diventata una figura simbolica, quasi mitica nelle narrazioni del movimento per i diritti civili. Rappresentava la risposta delle vittime che non ne possono più di subire e si ribellano ai soprusi. Sapere che era in contatto con Highlander, ha cambiato completamente la mia visione, di lei e di tutto il movimento dei diritti civili.

Myles Horton, che era il direttore di Highlander1, mi fa «guarda che prima di fare quello che ha fatto a Montgomery, Rosa Parks era stata qui a un seminario di formazione politica».

Allora mi resi conto che la in effetti la storia della povera donna nera isolata dal contesto, non stava in piedi. Non stava in piedi per un paio di ragioni: come si spiega che venga arrestata questa signora e nell’arco di tre giorni l’intera comunità afroamericana di Montgomery, Alabama, scenda in lotta e organizzi un boicottaggio dei mezzi pubblici? C’era qualcosa di più della reazione istintiva? C’era un’organizzazione, una visione politica? E un’altra cosa, che mi hanno raccontato più tardi: Rosa Parks non era la prima persona a venire arrestata per essersi seduta dove non doveva in un autobus, era già successo altre volte: pochi anni prima Claudette Colvin, una ragazza di sedici anni incinta, era stata brutalmente arrestata, picchiata e scaricata dall’autobus e non era successo niente. C’erano stati casi simili precedentemente. In qualche modo, quello che risultava, era che il movimento non aveva avuto inizio così spontaneamente. Cominciato con una visione politica, con un’intelligenza che è virtù che raramente si attribuisce agli oppressi. Difficilmente si pensa all’intelligenza politica con cui le lotte, anche di massa come quella del movimento per i diritti civili sono partite. Intanto Rosa Parks, a differenza delle donne che erano state arrestate prima, era assolutamente inattaccabile sotto qualunque altro aspetto. Era una lavoratrice, una persona assolutamente rispettabile che godeva della stima e del rispetto non solo della comunità afroamericana ma anche di tante famiglie bianche per cui lavorava come rammendatrice o altro. Era una persona assolutamente al di sopra di ogni possibilità di venire screditata e quindi, poteva essere assunta come caso su cui costruire una battaglia. L’altro elemento è che appena si ha la notizia dell’arresto di Rosa Parks, si mette in movimento l’organizzazione della comunità afroamericana. E qui ci sono altri personaggi, altri personaggi che raramente vengono ricordati in un epopea che sembra riassumere tutto sotto l’unico nome di Martin Luther King. Per esempio Edgar Daniel Nixon. E. D. Nixon era un ferroviere ed era il segretario della National Association for the Advancement of Colored People (NAACP), l’organizzazione che gestiva le difese legali degli afroamericani e la battaglia legale per i loro diritti civili, è l’organizzazione che ha ottenuto un anno prima la famosa sentenza contro la segregazione nelle scuole. E. D. Nixon appena sa di Rosa Parks, entra immediatamente in contatto con lei, per trovarle un avvocato e soprattutto per domandarle: «sei disposta a portare la questione in tribunale? Sei disposta ad affrontare una sfida legale alla legge sulla segregazione?» Rosa Parks dice: «si!» A quel punto, immediatamente, E. D. Nixon e tutti i quadri della National Association, di cui Rosa Parks era peraltro una dei dirigenti, si mettono in movimento e parte una catena di telefonate che nell’arco di due giorni organizza la difesa legale di Rosa Parks. Ma parte anche la proposta, dal basso di organizzare un boicottaggio di massa. Da quel momento la battaglia per i diritti degli afroamericani, che era stata condotta per quasi mezzo secolo, quasi esclusivamente sul piano legale e giuridico, si trasforma in un movimento di massa. Questa trasformazione in un movimento di massa parte da figure come Rosa Parks o come E. D. Nixon.

In questo senso è anche importante un altro elemento, che non è semplicemente la questione dell’identità cosiddetta razziale ma la dimensione di classe. Rosa Parks lavorava come rammendatrice, come aggiustatrice nei grandi magazzini. E. D. Nixon era addetto ai vagoni letto nelle ferrovie, uno dei pochi lavori consentiti agli afroamericani ed anche una delle categorie più sindacalmente organizzate. C’è qui un contatto molto stretto, molto preciso fra organizzazione sindacale e organizzazione per i diritti civili che facilita il passaggio al movimento di massa. A questo si aggiunge anche la solidarietà di quella ristretta, ma, secondo me eroica, minoranza, che sono i bianchi antirazzisti del sud. Ci sono l’avvocato Doerr e sua moglie Virginia Doerr che avevano una lunga storia d’impegno per i diritti civili, per l’uguaglianza, per i diritti sindacali che scendono immediatamente in campo a organizzare la solidarietà verso Rosa Parks anche nella comunità bianca e a garantirle rappresentanza legale. Il movimento cambia completamente natura dal momento in cui l’arresto di Rosa Parks viene utilizzato, se vogliamo, come occasione per passare da una mera battaglia legale a un movimento di massa. Quello che sarà poi nei vent’anni successivi.

Una volta che ha preso questa forma, che è cominciato a crescere e che l’intera comunità afroamericana di Montgomery è scesa letteralmente in strada, proprio anche nel senso che non usano più l’ autobus, si pone il problema di trovare strutture organizzative, luoghi e forme di rappresentanza che siano più unificanti di quelle che avevano trovato E. D. Nixon e i suoi collaboratori. A quel punto la National Associationfor the Advancement of Colored People di Montgomery si rivolge all’apparato più solido della comunità afro-americana, ovvero le chiese. E. D. Nixon prende contatto con il reverendo Abernathy, che sarà il braccio destro di Martin Luther King negli anni a seguire, chiedendo una legittimazione delle chiese per questo movimento che rischiava di essere in qualche modo percepito come sovversivo, come una minaccia all’ordine costituito. Avere dalla propria parte le chiese garantiva anche che il ceto medio nero si sarebbe identificato, il che garantiva quel tanto di rispettabilità che era necessario per condurre una lotta di lungo termine.
Abernathy suggerisce che prendano contatto con un suo collega: un giovane ministro metodista appena arrivato in città, nato ad Atlanta, ma appena diventato pastore della Chiesa Metodista di Dexter street nel centro di Montgomery. Questo giovane pastore si chiama Martin Luther King e non sapeva nulla di tutto quella che stava succedendo. Qualche tempo prima Rosa Parks gli aveva mandato una lettera in cui diceva che era da tempo coinvolta in queste forme di organizzazione di resistenza.

Nella lettera gli chiedeva: «sarebbe disposto a diventare Lei segretario della nostra organizzazione?» E King le aveva risposto: «È un grande onore, solidarizzo, ma no!»

M. L. King aveva 26 anni. «Non posso perché sento come molto pesante la responsabilità di gestire una chiesa importante come quella di Dexter Street, la chiesa della classe media afroamericana, la chiesa più prestigiosa della Montgomery protestante».

In più aveva avuto una bambina un paio di settimane prima. Quindi non solo non era parte del movimento ma se n’era, almeno momentaneamente, tenuto fuori. Quando però gli chiedono di utilizzare la sua chiesa come luogo dove tenere le assemblee, allora M. L. King risponde «va bene». Con riluttanza dice va bene e da quel momento ha inizio la sua straordinaria vicenda che lo porterà al premio Nobel, che lo porterà e alla morte per assassinio alla fine degli anni ’60. C’è una frase che riassume tutta questa vicenda, una frase formulata da Septima Clark2, l’altra delle leader di base del movimento per i diritti civili, un’altra che si era formata a Highlander.«Non è stato M. L. King a creare il movimento per i diritti civili. È stato il movimento per i diritti civili a creare M. L. King». Quando però il movimento di Montgomery si rivolge a King, trova una personalità che ha delle potenzialità incredibili. King veniva da tre generazioni di ministri metodisti, gente rispettabilissima. Aveva una formazione universitaria teologica irreprensibile. Era già molto coinvolto e influenzato nel pensiero pacifista, nel pensiero non violento del Mahatma Gandhi, quindi, era in qualche modo la persona giusta che si trovò nel posto giusto al momento giusto. Non è un caso che Abernathy, il primo a cui si erano rivolti, abbia detto «no, parlate con lui.» King è uno straordinario oratore che combina la capacità di svolgere un ragionamento teologico rigoroso, secondo i requisiti di una chiesa che non è pura emozionalità, con però tutta la ricchezza straordinaria dell’oratoria tradizionale afroamericana dei grandi exhoters3, dei grandi preachers4 neri capaci di suscitare veramente le emozioni a un livello straordinario. Mentre le assemblee crescono di dimensione e di importanza, l’intera comunità afroamericana vota usando i piedi, come dicono in America. Indica cioè un’opzione politica attraverso l’azione fisica, in questo caso si tratta proprio di camminare. Camminare sarà una delle pratiche fondamentali del movimento per i diritti civili. Pensiamo alle grandi manifestazioni, alle grandi marce come quella di Selma in Alabama dieci anni dopo. Queste mobilitazioni condotte di notte e di nascosto nelle case dei braccianti neri e nelle piantagioni. È un movimento che mette in campo i corpi. Usando forme come quelle del sit-in. Come qualche anno dopo dei ragazzi neri si siederanno in un ristorante di Greenwood Mississippi e chiederanno di essere serviti e rifiutando di andarsene quando i camerieri gli diranno che non hanno diritto di stare lì. Nei sit-in o anche semplicemente nelle carceri quando ammassandosi nelle celle o nei cortili, rendono le carceri ingestibili. Questa modalità di lotta che viene inventata a Montgomery, è una modalità che apre una dimensione di uso del corpo per il movimento per i diritti civili. Non a caso si comincia con il gesto di Rosa Parks che rifiuta di muoversi, rifiuta di alzarsi e viene sollevata di peso come succederà in seguito a migliaia di persone trascinate via dai sit in e dai picchetti negli anni successivi. L’altra cosa che il movimento di Montgomery porta sicuramente a un livello di consapevolezza e di pratica elevatissimo, è il boicottaggio. E ciò è importante per due motivi: il primo legato al fatto che siamo in un periodo di forte transizione verso la società dei consumi, in cui il ruolo di consumatore diventa importante quasi quanto quello di produttore . Quindi rifiutare di consumare diventa strumento politico e questo il movimento lo adotterà, per esempio, rifiutando di andare a spendere i propri soldi nei negozi che non assumono neri o rifiutando di viaggiare su autobus in cui devono sono segregati. Il secondo motivo è che gli afroamericani essendo al di fuori dei lavori più direttamente produttivi e quindi ai margini del sistema economico industriale, soprattutto nel sud, hanno più potere come consumatori che non come produttori. Questa combinazione fra l’inerzia dei corpi che rifiutano di muoversi e di spostarsi da dove non dovrebbero stare e la forza che deriva dal ruolo di consumatori, fa si con i sit in e le marce, i picchetti e i boicottaggi, il movimento gradualmente comincia a trovare i propri strumenti. La scelta e la pratica della non violenza, non è solo opzione morale e strategia politica del movimento ma anche qualcosa che lo rende il più grande movimento di massa che gli Stati Uniti abbiano conosciuto dagli anni ’30 in poi.  Rende inoltre questo movimento in qualche misura non minaccioso, non pericoloso. La qualità non violenta del movimento fa si che mentre le sue rivendicazioni, siano percepite come necessarie, come giuste, al tempo stesso non sembra voler porre in discussione le radici fondamentali del patto costituzionale, del patto sociale alla base degli Stati Uniti come nazione. La rivendicazione di diritti civili che il movimento attraverso King proclama, sono i diritti garantiti dalla costituzione americana, i diritti che spettano ai neri in quanto cittadini americani. Sarà un passo successivo quello di parlare di diritti umani, che spettano ai neri indipendentemente dal fatto che la legge li garantisca. King rassicura l’America chiedendole di essere se stessa più che di cambiare. Chiede solo di estendere a tutti i suoi cittadini la sua promessa. Nel famoso discorso del1963 a Washington dirà: «l’America ha emesso una cambiale e noi siamo venuti a riscuoterla.» Chiedendo in questo modo, i diritti che la costituzione gli garantisce. Questo garantisce a King quel tipo di rispettabilità che lo renderà gradito alla presidenza Kennedy e che gli farà avere il premio Nobel nel 1964. Quella rispettabilità che perderà nella seconda metà degli anni ’60 quando prenderà posizione contro la guerra del Vietnam, quando prenderà posizione a favore delle lotte sindacali, quando insisterà sulla desegregazione anche nel nord, dove si diceva non esistesse. Quando passerà su posizioni più radicali. Ma in questa fase l’opzione non violenta di massa, la resistenza passiva, la dimensione pacifista e a suo modo legalitaria del movimento. Più tardi una figura, in parte contraddittoria in parte complementare a M. L. King, sfiderà l’identità dell’America per rivendicare diritti umani più che diritti civili. Questa figura non verrà dal sud e dalla classe media, ma verrà dai ghetti del nord: Malcolm X.

M. L. King è in qualche modo una figura simbolica, carismatica, non senza contraddizioni, non senza limiti. King ha sì una personalità profondamente umana con passioni, difetti, limiti, contraddizioni, ma ha anche la capacità di svolgere le funzioni che la storia gli ha gettato addosso. Come il marciare, il sit-in, il boicottare con una filosofia e con una strategia. Questa filosofia e questa strategia si riassumono nell’ideale e nella pratica della non violenza. Per King questo è un principio filosofico assoluto, è un principio filosofico che gli deriva dalla conoscenza dell’esperienza di Gandhi, ma per lui è anche un principio religioso. A volte ci si dimentica che queste grandi figure dei movimenti afroamericani, (M. L. King ma lo stesso Malcolm X), sono in primo luogo figure di leader religiosi che svolgono anche un ruolo politico. King identifica la non violenza come il più alto valore cristiano. Arriverà a dire: «se deve scorrere del sangue che sia il nostro.» C’è in qualche modo in lui una visione cristica di sacrificio. Nel suo famoso discorso di Washington, quello del “I have a dream”, parlerà della: «sofferenza immeritata e redentiva». C’è questa dimensione cristica più ancora che cristiana nella visione di King. Al tempo stesso è una visione strategicamente e assolutamente funzionale. King e gli altri organizzatori del movimento si rendono perfettamente conto del fatto che non possono affrontare con le armi in pugno l’apparato militare repressivo degli stati del sud e soprattutto che hanno bisogno di assicurarsi un minimo di solidarietà da parte dell’opinione pubblica più vasta, la quale solidarizza con un movimento che si basa sulla non violenza. In più di un’occasione ho sentito ex militanti del movimento per i diritti civili dire: «guarda, io non ero un non violento manco per niente ma sapevo benissimo che quella era l’unica tattica praticabile in quel momento». C’era una gradazione di sfumature che andava questa opzione etica, filosofica, religiosa di King a un opzione meramente tattica di gente che diceva «non possiamo usare altri strumenti perché qualunque altro strumento sarebbe perdente». King è quello che, inizialmente, dà al movimento la sua arma più forte, che è questo fervore morale che gli permette di sollevare la coscienza morale dell’America fino a schierarsi, a prendere posizione su una richiesta di giustizia, di uguaglianza, di fratellanza e di non violenza. Da all’America più tranquilla, più moderata la sensazione di qualcosa di non minaccioso, di non pericoloso. All’opposto di quello che anche di lì a poco tempo, s’incarnerà in un’altra figura che in parte opposta, in parte complementare a King: Malcom X.

 

1. Highlander Research and Education Center, è un centro culturale e di formazione dedicata alla giustizia sociale, fondato nel 1932 dagli attivisti Myles Horton, Don West e James A. Dombrowski. N.d.R. [Fonte Wikipedia]

2. (1898-1987) Educatrice americana e attivista per i diritti civili. Venne chiamata la “Regina Madre” o “La Nonnadel Movimento Americano per i Diritti Civili”. N.d.R. [Fonte Wikipedia]

3. Predicatori laici. N.d.R.

4. Predicatori protestanti. N.d.R.

Alessandro Portelli è considerato tra i fondatori della storia orale. Insegna Letteratura angloamericana all’Università La Sapienza di Roma ed è presidente del Circolo Gianni Bosio. Tra i suoi libri:  L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria (Donzelli, Premio Viareggio 1999); Città di parole (Donzelli, 2006) e Storie orali (Donzelli, 2007), Acciai speciali (Donzelli, 2009), America profonda. Due secoli raccontati da Harlan County, Kentucky (Donzelli, 2011).

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