Jonathan Freedland

Il sionista progressista

da ''The New York Review of Books''
POLITICA E SOCIETÀ: Il giornalista Jonathan Freedland analizza la questione israelo-palestinese dal punto di vista di una figura molto particolare che all'interno di questo dibattito si ritrova in una posizione estremamente difficile: il sionista progressista.

ARI SHAVIT, My Promised Land: The Triumph and Tragedy of Israel, Spiel and Grau, pp. 445, $ 28,00
JOHN B. JUDIS, Genesis: Truman, American Jews, and the Origins of the Arab/Israeli Conflict, Farrar, Straus and Giroux, pp. 432, $ 30,00
NORMAN G. FINKELSTEIN, Old Wine, Broken Bottle: Ari Shavit’s Promised Land, OR Books, pp. 97, $ 10,00

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Nell’ambiente tossico che caratterizza molto, se non la maggior parte, del dibattito sul conflitto tra israeliani e palestinesi, un veleno speciale viene riservato al sionista progressista. Tale persona, che appoggia Israele anche se desidera che questa cambi, è destinata ad essere odiata da entrambi gli schieramenti: i falchi sionisti disprezzano il progressista perché va troppo a fondo con le sue critiche, accusandolo di stringere la mano del tradimento della causa che può solo confortare il nemico, mentre gli antisionisti denunciano il progressista per non andare abbastanza a fondo, perché fallisce nel seguire la logica della sua posizione fino alla sua conclusione e perciò perché difende l’indifendibile. Il sionista progressista viene definito sia come un ipocrita che come un apolegeta  o entrambi.

Il trattamento inflitto a My Promised Land, una storia personale di Israele di Ari Shavit, editorialista del quotidiano di sinistra ‘Haaretz’, ne è un esempio emblematico. I guerrieri del computer di entrambe le parti hanno indossato la loro solita armatura e iniziato ad attaccare il libro da destra a sinistra. «Lungi dall’autocritica, questo è semplicemente autosvilimento», ha scritto l’ex rappresentante del World Jewish Congress Isi Leibler sul ‘Jerusalem Post’, suggerendo che tra gli obiettivi di Shavit vi era  il servile desiderio di ottenere «il consenso da parte delle star progressiste per le quali lo svilimento dello stato ebraico è divenuta una componente chiave del loro DNA progressista». Allo stesso tempo, l’accademico di sinistra Norman G. Finkelstein ha dedicato un intero, se pur breve, libro per smontare My Promised Land. In Old Wine, Broken Bottle egli insiste sul fatto che i punti di vista di Shavit «contengono un nucleo centrale di ipocrisia e stupidità cosparso da una patina decorativa di arroganza e pomposità. È un tuttologo che non sa nulla, e se ci fosse una gara per il più grande schmuck del mondo, arriverebbe secondo».

Ari Shavit

Ari Shavit

Il che non vuole dire che  My Promised Land non si sia guadagnato ammiratori importanti. Li ha infatti avuti, ricevendo lodi da Thomas Friedman, Leon Wieseltier, Jeffrey Goldberg, David Remnick e altri. È difficile che ciò preoccupi i critici. Al contrario, essi vedranno le lodi a Shavit da parte di quel quartetto come un semplice atto di solidarietà di gruppo: i leoni del sionismo di sinistra che si riuniscono con orgoglio. 

La natura compressa della posizione sionista progressista non è nuova, ma negli anni recenti la difficile situazione si è accentuata. Il declino del movimento pacifista israeliano, insieme alla serie di fallimenti del Partito Laburista Israeliano, fa capire che è una causa in arretramento. Negli Stati Uniti, i leoni progressisti sono anche lì divenuti una specie in via di estinzione, per ragioni che riflettono i cambiamenti a lungo termine in Israele. Come spiegava Peter Beinart in un saggio molto discusso su queste pagine nel 2010, The Failure of the American Jewish Establishment, la leadership ebrea americana ha adottato una linea se possibile più conservatrice, con posizioni su Israele pro Likud che lasciano fredda la generazione emergente dei giovani ebrei americani, i cui punti di vista, almeno sui problemi interni, tendono verso l’ultra sinistra. Con una leadership dell’AIPAC pro Netanyahu alla sua destra e una nuova generazione sempre più disillusa da Israele alla sua sinistra, il sionista liberale sembra incagliato in una striscia di terra sempre più ridotta. 

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