Gabriella Caramore con Enzo Bianchi

Radio3suCarta. Uomini e profeti. Misericordia voglio, e non sacrifici. I giusti e i peccatori.

Uomini e Profeti è la trasmissione di cultura religiosa di Radio3. Il suo obiettivo è quello di far conoscere le esperienze, le vicende, i linguaggi, le figure, i grandi testi delle tradizioni religiose di tutti i tempi,  al di fuori di ogni dimensione confessionale, ma nello stesso tempo considerando il fatto religioso come un grande vettore della storia e della sapienza dell’umanità. In un dialogo critico con autori, testi, interpreti dei diversi mondi religiosi (e non solo religiosi), si potrebbe dire che Uomini e Profeti vuole “guardare il mondo con gli occhi delle fedi e le fedi con gli occhi del mondo”.

Autrice del programma è Gabriella Caramore. Paola Tagliolini è la curatrice, Benedetta Caldarulo regista, Cristiana Munzi consulente musicale. Alla conduzione Brunetto Salvarani in Storie (il sabato) Gabriella Caramore in Questioni (la domenica).

Gabriella Caramore. Buongiorno da Gabriella Caramore. Oggi torniamo a parlare con un ospite che ci è molto caro, Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità monastica di Bose, affrontando il tema del giubileo: il “Giubileo straordinario della misericordia”, che si apre in forma ufficiale dopodomani[1]. Ma parleremo anche dell’urgenza che questo papa sembra porre nei suoi gesti: la riforma della Chiesa, un anno giubilare straordinario, il viaggio in Africa, un viaggio coraggioso come è stato giustamente detto, e poi la visita nella moschea nel cuore del fondamentalismo anticristiano. Per la prima volta dopo tanto sembra che all’interno della Chiesa ci sia qualcuno capace di comprendere l’urgenza dei tempi, anche se la Chiesa è fatta di storie diverse e giustapposte, quindi non ci può essere una parola unica, per così dire, è normale che ci siano tante posizioni all’interno della chiesa. Ma cercheremo di interpretare questi gesti, e di tornare poi al cuore della parola “misericordia”.  Lo facciamo ancora una volta con Enzo Bianchi, che saluto. Ma intanto vorrei avere da lei qualche commento sulle immagini, che abbiamo visto la settimana scorsa, del Papa in Africa e la differenza fra queste immagini e il grande spettacolo che si annuncia a Piazza San Pietro dopodomani: suoni e luci, le immagini dei grandi fotografi sulle miserie del mondo. C’è uno stridore con lo “spettacolo” che si è tenuto in Africa, che era sì uno spettacolo, ma uno spettacolo fatto soprattutto con i volti delle persone, fatto di una partecipazione calda della gente. 

Papa: arrivato a Campo Profughi St. Sauveur a Bangui

Papa Francesco durante la visita al campo profughi St. Sauveur a Bangui.

Enzo Bianchi. C’è uno stridore ed è forte, ed è per questo motivo, credo, che il Papa ha voluto aprire il Giubileo in Africa, perché questo evento ha un significato eversivo molo forte. Il Papa ha aperto la porta a Bangui, e l’ha aperta in mezzo ai poveri, in mezzo a questa gente che non vede riconosciuta la sua dignità, che soffre ancora la fame, la violenza, facendo quindi di Bangui il crogiuolo, il microcosmo, di tutti i dannati della Terra. Aprire in quel luogo il Giubileo è stata in qualche modo una discesa agli inferi della Terra, all’Inferno, e credo che questo abbia un valore molto significativo, perché cambia completamente i criteri con cui viene fatto un Giubileo in cui si è sempre guardato alla grandiosità dell’evento, allo splendore della liturgia o alla quantità di gente che viene da tutto il mondo.

Gabriella Caramore. Però tornati a Roma si ritorna un po’ a questo cliché.

Enzo Bianchi. Sì è vero, anche se il Papa ha detto che questo Giubileo si farà nelle singole chiese, ha dato addirittura la possibilità, veramente straordinaria, ai carcerati di compierlo in carcere passando attraverso una porta. Poi però c’è il sopravvento della macchina dell’organizzazione, dello spettacolo, e tutto questo certamente stride. Non solo, credo che ci sia anche una  contraddizione tra il significato dell’evento secondo la Scrittura, e tutto quello che viene posto sopra come ornamento  che rischia di offuscare il resto. Perché credo che molti non riescano ad andare oltre queste incrostazioni e a vedere il nucleo profetico del Giubileo.

Gabriella Caramore. Ma perché secondo lei succede così? Dicevo prima che la Chiesa non è la rappresentazione di un “pensiero unico”, e Papa Francesco, che avrebbe voluto fare qualcosa di più semplice, di più vero, non ci riesce. Forse perché la Chiesa ha varie componenti che debbono essere rispettate? Oppure non c’è ancora una coscienza di dover adeguare anche i gesti, come sta facendo Francesco, ai contenuti? Cos’è che bisogna ancora fare? 

Enzo Bianchi. Credo che la Chiesa sia davvero multiforme, oggi è una specie di grande contenitore in cui a volte ci sono delle porzioni di Chiesa che noi pensiamo fuori dal contenitore e che sono più vicine ad altre che sono dentro, e altre che sono dentro che non si capisce bene perché si definiscano cattoliche e cristiane. Quindi siamo in un momento di grande trapasso che non è solo, oserei dire, antropologico, ma che è anche un grande trapasso della fede, una migrazione della fede, perché la fede cambia davvero e non dobbiamo avere paura di dirlo. La fede cambia, al centro ci sarà sempre Gesù Cristo come colui che è il vero uomo e il vero Dio, ma le espressioni, gli approcci culturali e le forme cambiano. Oggi secondo me la fede cristiana è ancora troppo rivestita di religione, partecipa al grande gioco delle religioni e purtroppo si manifesta attraverso il religioso e non attraverso ciò che le è specifico, che è la fede in Gesù Cristo uomo e Dio. In questa migrazione certamente a volte ci sentiamo smarriti, da parte mia lo confesso, perché ci sono delle contraddizioni enormi e una volta queste contraddizioni si avevano solo a livello, per così dire, di devozionalità e della teologia. Oggi invece vediamo che le cose sono molto più complesse, più mescolate, e indubbiamente siamo smarriti di fronte a manifestazioni di fede che secondo me hanno ben poco a che fare con il Vangelo di Gesù Cristo.

Un decreto di Indulgenza Plenaria emesso nel 1664

Un decreto di Indulgenza Plenaria emesso nel 1664

Gabriella Caramore. A questo proposito, nella puntata di ieri abbiamo parlato della storia dei giubilei nella chiesa universale e cattolica, del Giubileo che è nato con la pratica delle indulgenze per una necessità di arricchimento da parte della Chiesa, e mi chiedevo se non sarebbe stata una buona opportunità oggi, con il Giubileo della Misericordia,  chiarire una volta per tutte la questione delle indulgenze, di relegarla alla storia. È vero che Papa Francesco ha fatto qualcosa in questo senso, ridimensionando questa dimensione del lucro, ma non c’è ancora stata una parola chiara sulla questione delle indulgenze. C’è un’indulgenza plenaria che si potrà acquistare attraverso altri pellegrinaggi e altre porte sante in altre città, però si potrebbe dire qualcosa di più chiaro su questa questione.

Enzo Bianchi. Io credo che la Chiesa compia lentamente i suoi mutamenti, e ha una paura tale della contraddizione con ciò che è stato detto precedentemente, che a volte devono passare dei secoli affinché questi avvengano. Pensiamo solo al tema della libertà religiosa e a quanti secoli sono passati per poterla affermare durante il Concilio Vaticano Secondo, quando era già affermato dal pensiero laico, mentre la Chiesa era totalmente incapace di affrontarlo semplicemente perché c’erano state affermazioni precedenti contro la libertà religiosa da parte del magistero ufficiale. C’è ancora qualcuno all’interno della Chiesa che pensi all’indulgenza come a una mercificazione in denaro, come a uno strappare dei giorni in Purgatorio alle anime? Credo che non ci sia più nessuno, a parte qualcuno legato ancora a vecchie formule nostalgiche. Ma si è cercato di cambiare il concetto di indulgenza, cercando di immetterla su strade di carità fraterna, di condivisione dei beni, di fare il bene, ma c’è ancora molta ambiguità su questo tema. Così c’è ancora chi riesce a predicare le indulgenze come nel 15° o 16° secolo, e chi invece ormai ha fatto un’altra strada. A volte troviamo un pluralismo all’interno del cattolicesimo che sconcerta, ed è il mistero di una Chiesa che rinasce costantemente. La vera Chiesa rinasce dove c’è l’obbedienza al Vangelo e il riconoscimento di Gesù Cristo Signore. Dobbiamo accontentarci di questo continuo rinascere della Chiesa, pensare di fare di più credo che uniformi la Chiesa alle altre religioni, finendo così per mortificarla e toglierle la profezia del Vangelo.

Gabriella Caramore. Mortificarla oppure rivivificarla? Perché andare allo scarno senso della Parola biblica, della Parola evangelica, andare solo alla misericordia, accende i cuori. 

Enzo Bianchi. Questa sarebbe l’unica strada da fare, ma dobbiamo comunque portare il peso di ambiguità che non si sciolgono per alcuni dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, cercando di fare di tutto perché il Vangelo diventi più pregnante e cominci anche a informare la dottrina che a volte è anch’essa molto staccata dal Vangelo. 

Gabriella Caramore. Restando ancora sulla simbologia della porta santa, l’abbattimento, l’apertura della porta o delle porte, quali sono secondo lei le porte che la Chiesa dovrebbe abbattere o aprire in questo momento? 

Enzo Bianchi. La simbologia della porta è straordinaria, perché aprire le porte significa creare relazioni, creare comunicazione, significa dare il primato allo scambio della parola e certamente la Chiesa in questo momento deve aprirsi alla parola di Dio e aprire la porta del cuore a Dio. Sono due, a mio avviso, le grandi aperture che la Chiesa dovrebbe fare: la prima è quella di aprire una porta della Chiesa che dovrebbe essere, come ha detto il Papa, una piramide capovolta, dove il Papa, i vescovi e i presbiteri si trovano in basso, al servizio del popolo di Dio. Che ci sia davvero questa apertura di comunicazione, di scambio tra chi ha la guida all’interno del popolo di Dio e  tutti i cristiani. Siamo ancora ben lungi dall’ottenere questo, c’è ancora molto clericalismo, molto autoritarismo, non è ancora pienamente riconosciuta la dignità dei battezzati. Credo poi che un altro dei problemi più grossi sia quello della donna. Indubbiamente si continuano a fare auspici di promozione della donna, ma oggi non siamo ancora capaci di immaginare concretamente questi auspici. Invece noi come Chiesa dovremmo davvero essere consapevoli che la metà del corpo ecclesiale è costituito da donne e che le donne hanno il diritto di poter dire una parola, anche una sola parola, all’interno della Chiesa. Questo mi sembra ancora molto lontano. Devo confessare con tristezza che non si sta camminando in questo senso e che ci si ferma a delle visioni ideali della donna e non si prende in considerazione la loro umanità. 

Gabriella Caramore. Quindi il problema è l’apertura ai laici, cioè al popolo tutto, la grande base della piramide,  e le donne. 

Enzo Bianchi. Queste sono le due grandi porte da aprire. Papa Francesco sta già aprendo la porta ai poveri, e credo che la più grande differenza nel magistero tra Papa Francesco e i papi precedenti, e sono in pochi a notarla, stia nel vedere i poveri non solo come i destinatari dell’amore e della carità, dato che in essi si trova Cristo, ma nel fatto di vederli anche come titolari di una cattedra. Sono loro che insegnano a noi dei valori. Sono stato molto colpito da questo, perché penso che alla fin fine sia più facile inventare una cattedra per i non credenti che inventare una cattedra per i poveri nella Chiesa, e credo che la cattedra dei poveri sia più decisiva della cattedra dei non credenti, perché è lì che si gioca veramente il cristianesimo. Soprattutto quando pensiamo a questi milioni di anonimi che muoiono senza riconoscimento e che valgono quanto me di fronte a Dio. Io non ho nessun diritto in più di loro, eppure se muore qualcuno in Europa scuotiamo il cielo, la terra e gli inferi, e se in altri paesi ne muoiono molti di più ogni giorno noi lasciamo che tutto questo avvenga, anzi non ci chiediamo neanche quali siano le nostre responsabilità. Sono uomini e donne che perdono il marito, la moglie, i figli, i genitori, che devono staccarsi, rompere i legami, rompere gli affetti, le loro storie d’amore, è una sofferenza continua. Quella che noi non vogliamo e che riusciamo in qualche modo a tener lontano, per loro è il pane quotidiano. Questi sono i poveri.

Migranti sbarcati a Kos, 31 agosto 2015

Migranti sbarcati a Kos, 31 agosto 2015

Gabriella Caramore. Tra l’altro questa settimana ne sono arrivati altri 900 sulle coste della Calabria. Noi diciamo un numero, 900, e ci fanno impressione, ci fanno pietà, ma per noi alla fin fine sono solo un numero. 

Enzo Bianchi. Dovremmo pensare che ognuno di loro ha lasciato una famiglia, una moglie, dei figli, dei genitori, che hanno dovuto interrompere storie d’amore, che hanno rischiato la vita cercando di attraversare il mare andando incontro alla morte. La mia vita, com’è stata nei diversi quadri di ogni stagione è uguale alla loro, la loro è semplicemente più disgraziata della mia. 

Gabriella Caramore. In una recente intervista che le è stata fatta da Giovanni Ferrò uscita sul numero di questo mese della rivista ‘Credere’, lei dice che a un certo punto della sua vita la parola misericordia ha segnato per lei una svolta decisiva nella sua vita. Poi però non spiega quale sia stata questa svolta, non so se ne vuole parlare o se invece vuole che rimanga nella sua intimità. 

Enzo Bianchi. Posso dire che è qualcosa che mi appartiene come un segreto, ma nel 1985, in un momento estremamente difficile della vita, quando sembra che tutto crolli e che ciò in cui abbiamo confidato sia semplicemente un’illusione che diventa delusione, ai limiti oserei dire della disperazione, ho avuto questa acquisizione di me che anche all’Inferno sarei caduto tra le braccia di Dio, e scrissi sul mio diario: «Le tue misericordie, Signore, le canterò anche all’Inferno». Ho capito che anche all’Inferno si può cantare la misericordia di Dio, è un paradosso, ma questo mi ha cambiato molto e ha dato un altro sapore alla mia vita. 

Gabriella Caramore. Nel prossimo numero di ‘Jesus’ invece il direttore, Don Antonio Rizzolo, intervista Papa Francesco e anche lui racconta di un suo incontro con la misericordia fin da giovane. Dice di essersi portato dietro per molto tempo questa parola, misericordia, e quest’anno finalmente ha avuto l’occasione di dedicarla al Giubileo, che è inteso appunto come un Giubileo dei poveri. 

Enzo Bianchi. Io credo che per conoscere, anche solo un poco, Dio bisogna sentirsi avvolti dalla sua misericordia. C’è un’espressione di San Bernardo che mi accompagna fin dal 1985: San Bernardo esclama dopo un momento terribile che ha passato, in cui ha lasciato la comunità ed è andato a vivere da solo fuori dal monastero, mentre sembrava che tutto fallisse finì con l’esclamare: «O debolezza!». Finalmente era arrivata la debolezza e gli aveva fatto capire ciò che tutta una vita di forza, di grande successo non gli aveva fatto capire di Dio. Credo che questo sia molto importante nella vita cristiana: accogliere la debolezza. 

Gabriella Caramore. Nella scorsa puntata ci eravamo fermati al significato simbolico, escatologico  di questo anno santo, e abbiamo accennato al fatto che anche Gesù riprende nel racconto dei Vangeli in chiave simbolica quest’anno di grazia del Signore. Nel Vangelo di Luca, quando va a predicare a Nazareth e prende in mano le Scritture, legge: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore». Che significato ha nelle parole di Gesù e in questo contesto questa affermazione? 

Enzo Bianchi. È molto importante che Gesù veda il suo ministero e tutta la sua vita di predicazione come un tempo di grande misericordia da parte di Dio. La cosa molto interessante è che lui legge questo testo che è del Profeta Isaia e che si conclude con questo versetto: «L’anno di misericordia del Signore, un anno di vendetta del nostro Dio». Ma Gesù non ha letto questa espressione, Gesù ha avuto il coraggio di tralasciare un’espressione in cui veniva fuori l’immagine di un Dio vendicativo, Luca non la cita perché Gesù ha chiuso il libro prima. Quindi facendo una vera e propria scelta per un Dio che ha un volto misericordioso e che non ha il volto del giudice severo. Questo mi sembra molto importante e dovremmo capire molte cose da questo. Anche nella lettura di tutti i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento bisogna sempre avere il coraggio di vedere ciò che è secondo Gesù e ciò che contrasta invece con Gesù o che Gesù ha contrastato. Questo testo è molto importante anche per il nostro attuale anno del Giubileo perché ci indica bene che cosa dovrebbe essere un Giubileo. Che è certamente l’apertura della porta con tutti gli altri segni liturgici, ma questi sono solo degli strumenti affinché noi arriviamo, come dice Gesù, a raggiungere con una buona notizia i poveri. E dare loro una buona notizia significa dare loro speranza, dare loro una forza che non trovano in loro stessi. Il Giubileo ha un senso se riusciamo a dare la vista ai ciechi. Non nel senso del miracolo straordinario, ma nel senso di aiutare coloro che fanno fatica a vedere la vita, l’umanità, gli altri. Dovremmo essere impegnati in tutte queste azioni concretissime, umanissime. La porta santa, le liturgie sono solo strumenti, sono un inganno se non ci portano davvero a questa maggior concreta carità di relazione e di liberazione tra le situazioni che ci sono nel mondo. La religione corre proprio questo rischio: capovolge le cose, ciò che è strumento, liturgia, sacrifici, diventano nella religione il fine, e questa è un’aberrazione secondo la fede cristiana. La preghiera è uno strumento, la liturgia è uno strumento, l’aprire o il passare la porta santa è uno strumento, e solo se ci aiutano a cambiare concretamente il nostro atteggiamento hanno senso. Se invece si li limitano e confermano addirittura quello che noi siamo e non ci chiedono un cambiamento, diventano un miserevole inganno. Questo dobbiamo dirlo. È lì che fede e religione sono in tensione, e la fede chiede sempre di uscire dal regime della religione.

Le immagini proiettate sulla basilica di San Pietro durante l'apertura del Giubileo della Misericordia.

Le immagini proiettate sulla basilica di San Pietro durante l’apertura del Giubileo della Misericordia.

Gabriella Caramore. Adesso leggeremo una parabola che va proprio in questa direzione, e lei diceva poc’anzi che i Vangeli, le parole di Gesù, selezionano tra ciò che bisogna mantenere della parola biblica e ciò che si può lasciar cadere. Però Gesù utilizza anche il linguaggio dei Profeti che vanno in questa direzione antireligiosa, verso l’essenza delle cose. Il Signore chiede misericordia e non sacrifici, non preghiere, non riti …

Enzo Bianchi. Attenzione, quando noi leggiamo nei Profeti certe espressioni, queste indicano innanzitutto il pathos di Dio di fronte all’ingiustizia, di fronte al dolore, quindi noi le dobbiamo già leggere in quel senso, altrimenti daremmo a Dio il volto di un Dio irato, addirittura di un Dio carnefice. In realtà è la passione, perché Dio non è indifferente all’ingiustizia, non è indifferente al male. Inoltre queste sono invettive-avvertimento, guardano sempre all’orizzonte finale, là dove Dio sarà giudice, quindi ci indicano vie di vita o vie mortifere. Gesù tralasciando «il giorno di vendetta del nostro Dio», dice semplicemente che la misericordia e l’amore di Dio non hanno limiti. È significativo che Gesù non abbia mai condannato o castigato nessuno nella sua vita, solo Lui ha rimesso il giudizio di Dio alla fine dei tempi, e finché uno è sulla terra è sempre un uomo a cui Dio mostra il suo volto di misericordia per indurlo a cambiare, a uscire dal regime della violenza, della malignità, della cattiveria. Questa è la verità profonda. 

Gabriella Caramore. A proposito dell’essere religiosi, ora vorremmo parlare della parabola del fariseo e del pubblicano. Forse è più semplice se lei ce la riassume. 

Enzo Bianchi. È una parabola in cui ci sono due uomini che vanno al Tempio. Uno è un fariseo e l’altro è un peccatore manifesto, che tutti riconoscono come tale. Stiamo attenti ai termini però. Certamente non tutti i farisei erano come quest’uomo, qualche volta ci sono delle generalizzazioni che non sono giuste verso i farisei, perché alcuni di loro erano straordinari e d’altronde sono i padri dell’attuale ebraismo. I farisei hanno conservato la legge e la fede e sono stati una via di salvezza anche per tutti gli altri figli di Israele, e lo sono ancora. Proprio per questo motivo preferisco non utilizzare il termine fariseo ma il termine uomo religioso. Che cos’è un uomo religioso? È un uomo che confida molto di più in quello che lui fa nell’assumere la religione, piuttosto che in quella che è la parola, la volontà di Dio che dovrebbe risuonare all’interno della religione e non essere invece sommersa dalla religione. Dobbiamo stare attenti a questa parabola, perché l’attuale testo della Bibbia italica traduce molto male. In realtà il testo greco dice che questo fariseo, che era salito al Tempio, era un giusto, era un osservante della legge, non era un ipocrita che barava, che diceva e non faceva, ma Gesù trova che lui sbagliasse a confidare troppo in sé stesso. Confidava in sé stesso e in quello che faceva, e in questa visione narcisistica di sé giustificava quello che faceva, cosicché finiva per condannare gli altri. Ma quest’uomo era un giusto, un osservante, un religioso, un credente.

Il fariseo e il publicano alla porta del Tempio, della Basilica di Sant'Apollinare nuovo a Ravenna

Il fariseo e il pubblicano alla porta del Tempio, mosaico della Basilica di Sant’Apollinare nuovo a Ravenna

Gabriella Caramore. Infatti il fariseo dice: «“O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”». E Gesù dice: «Questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». Questa è una parabola della vita religiosa proprio come lei ce la stava raccontando. 

Enzo Bianchi. Sì ed è straordinaria, perché qual è il peccato di quest’uomo religioso? È quello di avere una visione narcisistica. Lui non sta parlando a Dio, sta parlando a sé stesso, non si mette in ascolto di Dio, parla a Dio dicendo: «Ti ringrazio perché io non sono come gli altri». E giudica tutti gli altri, mentre lui ha una vita religiosissima, come certi cattolici dei giorni nostri, addirittura digiuna più del dovuto: nell’ebraismo si doveva digiunare solo un giorno all’anno, lui digiuna due volte alla settimana. Sempre riferendosi a questi uomini religiosi, un’altra volta Gesù dice: «Sono talmente osservanti che quando portano le offerte al tempio non portano solo la decima parte del vino e del grano, ma strappano dai loro balconi il rosmarino per portare la decima parte del rosmarino, la decima parte della mentuccia!» Ma in tutto questo c’è l’autogiustificazione, c’è il guardare a sé stessi con un occhio che non vede gli altri come fratelli, che non vede nessuna solidarietà, e che non chiede nulla a Dio. Vuole solo che Dio ascolti. Il pubblicano invece, che è riconosciuto da tutti come un peccatore, perché la sua vita è pubblicamente peccaminosa, ritenuto impuro come un pagano, scartato da tutti, non dice altro a Dio che: «Abbi pietà di me che sono un peccatore», ovvero gli dice «Kyrie eleison», una parola che ancora oggi pronunciamo: «Abbi misericordia di me». Ecco, Gesù mette i due a confronto: uno chiede misericordia e torna a casa perdonato, l’altro non chiede di essere perdonato, si è esaltato, ha ringraziato Dio per essere diverso, ha addirittura giudicato gli altri separandosi da loro, e questo mostra bene che cos’è l’uomo religioso: colui che confida di più nelle opere che fa che non in Dio e che non è in grado di dire: «Dio, io sono così, mi metto davanti a te». C’è un bellissimo testo, un apoftegma straordinario, in cui vediamo San Gerolamo diventato vecchio che va a Betlemme, lascia la corte papale di Roma, fa una vita terribile, ascetica, traduce la Bibbia, insomma fa una vita durissima. A San Gerolamo appare Gesù che gli dice: «Gerolamo, così non va, tu non mi hai offerto tutto». E Gerolamo risponde: «Ma come? Ho lasciato la curia romana, sono venuto qui povero, nudo, lavoro giorno e notte, vivo nella povertà», e Gesù gli dice: «Tu non mi hai mai offerto i tuoi peccati». Ecco, per capire che Dio è misericordia bisogna arrivare al punto di dirgli: «Signore, proprio questo mio peccato grave, proprio questi miei peccati, di cui io porto il peso, li metto nelle tue mani. Sono sicuro che nelle tue mani bruceranno come il fuoco, che tu li dimenticherai. Io te li offro». Questo è davvero avere fede nella misericordia di Dio.

Gabriella Caramore. Mi dispiace non avere il tempo di poter parlare del suo libro Spezzare il pane. Gesù a tavola e la sapienza del vivere, in cui lei presenta la convivialità di Gesù come segno di un magistero silenzioso che ci insegna a vivere, e quindi a mangiare e bere in questo mondo in una logica eucaristica che condivida il cibo e le bevande con tutti. Ed eccoci quindi ritornati alla condivisione con i poveri.

Enzo Bianchi. Ne parleremo un’altra volta. 

Gabriella Caramore. Grazie Enzo Bianchi, e buona giornata. 

Enzo Bianchi. Grazie e buona domenica a tutti.

Ascolta la puntata di Uomini e Profeti.

[1]    Questa puntata è stata trasmessa il 6 dicembre 2015. N.d.R.
ENZO BIANCHI, è un religioso e saggista italiano, monaco laico, fondatore e priore della Comunità monastica di Bose. I suoi libri più recenti: Essere presbiteri oggi (Qiqajon, 2014), Dono e perdono (Einaudi, 2014), Nella libertà e per amore (Qiqajon, 2014), Raccontare l’amore. Parabole di uomini e donne (Rizzoli, 2015), Ti senti chiamato a vivere? (Qiqajon, 2015), Spezzare il pane. Gesù a tavola e la sapienza del vivere (Einaudi, 2015)
GABRIELLA CARAMORE, dal 1982 collabora con Rai Radio3. Ha  ideato e condotto numerose trasmissioni radiofoniche, tra cui Paesaggio con figure e dal 1993 Uomini e Profeti. Collabora a diverse testate culturali. Nel 2012 ha ricevuto la laurea Honoris Causa in Teologia dalla Facoltà valdese di Teologia a Roma. I suoi libri più recenti: Nessuno ha mai visto Dio (Morcelliana, 2012), Come un bambino. Saggio sulla vita piccola (Morcelliana, 2013), Le domande dell’uomo (con Maurizio Ciampa, La scuola, 2013), Pazienza (Il Mulino, 2014).

 

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