Siamo sempre più poveri, dunque dovremmo essere anche più felici. O, per dir meglio, la povertà non incide sulla nostra felicità. È questo il cosiddetto “paradosso della felicità” scoperto dall’economista Richard Easterlin, nel 1974. Nel corso della vita la felicità delle persone dipende assai poco dalle variazioni di reddito e dalla ricchezza.
Allora, paradossalmente appunto, dovremmo essere quasi contenti quando leggiamo i dati – drammatici – nel rapporto dell’Istat Reddito e condizioni di vita nel biennio 2009-20101: in Italia un residente su quattro (24,5%) è a «rischio povertà» o «esclusione sociale», molto peggio che in Francia (19,7%) e in Germania (19,3%) tanto per fare un confronto con altri Paesi europei. Nel nostro Paese il 16% delle famiglie ha dichiarato di arrivare con molta difficoltà alla fine del mese, l’8,9% si è trovato in arretrato con il pagamento delle bollette, l’11,2% con l’affitto o il mutuo, l’11,2% non ha potuto riscaldare adeguatamente la casa. Dunque: felici perché poveri o poveri e felici? Dilemmi dei nostri tempi di crisi.