HERTA MÜLLER, L’altalena del respiro, Feltrinelli, trad. it. di Margherita Carbonaro, pp. 256, € 9.00
Tornando dal campo di lavoro, le donne perlustravano i cumuli di detriti alla ricerca di qualche pianta commestibile. La loro preferita era il bietolone, una pianta dalle foglie seghettate che a volte veniva chiamata spinacio selvatico. Raccolta in primavera, quando le foglie erano ancora tenere, poteva essere bollita in una zuppa o mangiata in insalata, se i prigionieri avevano la possibilità di condirla con il raro e prezioso sale – «grigio e grosso come ghiaia».
Mentre se ne stavano in fila ore e ore per il tormento dell’«appello» – l’ispezione per la conta serale –, nell’angolo del Lager dietro la fontana rilucevano piccoli focherelli accesi dai lavoratori di turno. Quando l’appello era terminato, i prigionieri che avevano qualcosa da barattare potevano accaparrarsi delle piccole lattine con bietolone bollito, e, in un giorno particolarmente fortunato, una rapa o del miglio cotto. Gli altri dovevano arrangiarsi con l’annacquata zuppa di cavolo passata dalla mensa.