Gianfranco Pasquino

Chi vuol essere presidente?

DAVIDE GALLIANI, I sette anni di Napolitano, Milano, Università Bocconi Editore, 2012, pp. 192, €16,00

SELENA GRIMALDI, I Presidenti nelle forme di governo. Tra Costituzione, partiti e carisma, Roma, Carocci, 2012, pp. 158. €17,00

FORTUNATO MUSELLA, Il premier diviso. Italia tra presidenzialismo e parlamentarismo, Milano, Università Bocconi Editore 2012, pp. 195, €19,50

POLITICA: Gianfranco Pasquino riflette sulla storia e sul ruolo della più alta carica della Repubblica italiana, da sempre oggetto dei desideri e delle ambizioni, non necessariamente tutte legittime, di moltissimi uomini politici italiani.

La più alta carica della Repubblica italiana è sempre stata l’oggetto dei desideri e delle ambizioni, non necessariamente tutte legittime, di una pluralità di uomini politici italiani. Fin dall’inizio, Enrico De Nicola, Presidente provvisorio nel periodo di tempo 1946-1948, avrebbe voluto essere mantenuto (o effettivamente eletto) all’alto Colle del Quirinale subito dopo la promulgazione della Costituzione repubblicana. A ogni tornata elettorale, molti sono coloro che, più o meno comprensibilmente, si ritengono buoni candidati, ma pochi hanno concretamente i titoli che i parlamentari considerano sufficienti e soddisfacenti per l’elezione. Una ricognizione, come quelle utilmente effettuate sia da Galliani sia da Grimaldi, su coloro che sono diventati presidenti suggerisce che esistono, per quanto, ovviamente, non rigidamente codificati, alcuni titoli preferenziali. Finora Il più importante fra questi titoli è stato quello di avere svolto un ruolo di garanzia super partes in quanto Presidente di uno dei due rami del Parlamento. Gronchi, Leone, Pertini, Scalfaro, Napolitano sono tutti stati Presidenti della Camera. Cossiga fu Presidente del Senato. Il secondo titolo di merito potrebbe essere considerato quello di avere fatto politica ad alto livello: Luigi Einaudi, Ministro delle Finanze e Governatore della Banca d’Italia, Antonio Segni, più volte Ministro e Presidente del Consiglio; Giuseppe Saragat, più volte Ministro e fondatore e Segretario del Partito Socialdemocratico; Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della Banca d’Italia, Presidente del Consiglio, Ministro del tesoro. Non a caso fra i papabili nella prossima elezione figurano Giuliano Amato, due volte Presidente del ConsigIio e più volte Ministro (del Tesoro e delle Riforme Istituzionali) e Mario Monti, Presidente del Consiglio uscente. Il terzo, meno chiaro, titolo preferenziale consiste nell’alta probabilità che l’eletto non sia espressione di una maggioranza politica precisa e compatta anche se, in un certo senso, l’elezione sia di Segni sia di Leone, curiosamente entrambe, seppur per ragioni diverse, presidenze interrotte, vennero caratterizzate dall’ostinazione della loro maggioranza elettorale, rispettivamente il declinante centrismo e la DC con i voti decisivi del Movimento Sociale Italiano.

Anche se certamente non dovrebbe essere considerato un titolo di merito preferenziale “politico e istituzionale” alla stregua di quelli appena menzionati, sarebbe, tuttavia, oramai molto opportuno che l’appartenenza all’altra metà del cielo, dopo l’elezione di dieci uomini, venisse considerata un fattore rilevante pur in assenza di una qualsivoglia mobilitazione delle donne, in politica o altrove, a favore di questo esito, dell’elezione di una di loro. L’appartenenza partitica fa aggio sulla collocazione di genere. Naturalmente, una perorazione di questo tipo potrebbe essere avanzata sia nei casi di altre Repubbliche parlamentari, come la Germania, accuratamente esplorata da Grimaldi, sia nei casi di Repubbliche presidenziali, come gli Stati Uniti d’America, e semipresidenziali, come la Francia. Anche se, in entrambe, due donne politiche, Hillary Clinton e Ségolène Royal, hanno prodotto uno sforzo ammirevole, l’esito non è stato positivo. In pratica, finora, nelle democrazie repubblicane dell’Europa, soltanto in Irlanda una donna, Mary Robinson, ha vinto la Presidenza.

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