Ottenere giustizia contro la discriminazione razziale è sempre stato un cammino pieno di ostacoli. Durante il periodo della lotta per i diritti civili, furono i governatori degli stati del sud e i consigli scolastici che si opposero palesemente agli ordini del tribunale di impedire la segregazione nelle scuole. In anni più recenti, gli ostacoli sono stati eretti non dai politici del sud ma dagli stessi tribunali. La Corte Suprema ha reso praticamente impossibile provare la discriminazione razziale a meno di una schiacciante evidenza che determinati individui siano stati intenzionalmente presi di mira a causa della loro razza. Dimostrare che le politiche e le pratiche del governo abbiano avuto effetti ampiamente discriminatori per gli afroamericani non è sufficiente.
Su questo fondamento logico, la Corte Suprema nel 1984 confermò la condanna a morte in Georgia di un nero per aver ucciso una vittima bianca, a dispetto dell’evidenza che in Georgia, e anche dopo aver controllato altre trentanove possibili variabili che potrebbero spiegare la seguente differenza, gli imputati neri che avevano ucciso dei bianchi avevano ottenuto la pena di morte in una misura di 4,3 volte superiore rispetto a coloro che avevano ucciso dei neri. E nel 2013, revocando una parte cruciale del Voting Rights Act1, la Corte Suprema ha deciso che gli stati e le municipalità che avevano attuato pratiche di voto discriminatorie precedentemente, non erano più costrette ad apportare alle loro leggi elettorali cambiamenti rivolti a garantire che non continuassero a discriminare.
Ora, una decisione della Corte d’Appello del Secondo Circuito degli Stati Uniti suggerisce che non c’è limite alle opposizione che i tribunali possono eccepire contro i reclami per discriminazione razziale. Non solo la Corte d’Appello ha bloccato temporaneamente qualsiasi misura di contenimento provocata dalla storica decisione di un tribunale di grado inferiore che aveva giudicato che il Dipartimento di Polizia di New York era stato coinvolto in una discriminazione intenzionale nel suo programma di “stop-and-frisk”2; ha compiuto anche lo straordinario passo di sollevare la giudice del tribunale di grado inferiore dal caso.
Questa decisione del Secondo Circuito è giunta in connessione con una mozione preliminare in un appello del caso Floyd controla città di New York, una class-action che sfidava la politica di “stop-and-frisk” del Dipartimento di Polizia di New York (voglio dire tutto: il caso è stato portato in giudizio dal Centro per i Diritti Costituzionali, in cui ho iniziato la mia carriera legale tre decenni or sono e di cui sono membro del consiglio). In agosto, la giudice della Corte Distrettuale degli Stati Uniti, Shira Scheindlin, emise una decisione di 198 pagine sul caso, trovando che la polizia di New York aveva intenzionalmente fermato e perquisito neri e latini in misura molto più alta dei bianchi, e aveva fermato e perquisito migliaia di cittadini residenti senza il requisito richiesto dalla Costituzione per poterlo fare – e cioè il “ragionevole sospetto” che fossero coinvolti in qualche attività criminale. Solo nel 2011, il Dipartimento di Polizia di New York ha fermato più di 680.000 persone, di cui l’84 per cento erano neri o latinoamericani, e solo il 9 per cento erano bianchi. Tra il 2004 e il 2012, la polizia ha trovato droga o armi su meno del 2 per cento di tutti i fermati.