Con quest’ultimo romanzo, Walter Siti abbandona il tema dell’ossessione omosessuale che è alla base dei suoi precedenti romanzi. («Sei tornato a scrivere un libro per froci»: così avrebbe detto Franchini, editor della Mondadori, a proposito del penultimo romanzo di Siti, Autopsia dell’ossessione: lo riferisce lo stesso Siti nelle prime pagine di Resistere non serve a niente, pubblicato non, come gli altri suoi romanzi, da Mondadori, ma da Rizzoli). L’argomento di Resistere è attualissimo: la Borsa, e in generale l’economia finanziaria (si noti che la Borsa è poco o niente presente nella narrativa italiana: l’unica eccezione, però illustre, è La coscienza di Zeno di Italo Svevo). Il protagonista, Tommaso Aricò, è un bankster d’assalto che è diventato ricchissimo per l’urgenza psicologica di superare una condizione di profonda inferiorità: da ragazzo era mostruosamente obeso e quindi isolato e ignorato dalle donne; per di più suo padre si trova in galera perché, per saldare un debito con la mafia, ha dovuto eseguire una sentenza dell’organizzazione e garrotare un infame. La mafia finanzia i suoi studi e l’operazione chirurgica che lo libererà dal grasso. Questo, dei soldi e delle opportunità fornite a lui e alla madre da personaggi che stanno sullo sfondo, è un problema sempre presente a Tommaso, e tuttavia per lui, a quanto sembra, non preoccupante. Per Tommaso il problema essenziale è sfruttare le capacità che egli sa di avere. Fin da ragazzo ha scoperto in sé un’eccezionale attitudine alla matematica, e la capacità di utilizzarla sia a fini ludici che economici, per cui nel suo curriculum di studente di economia ha scelto di inserire, oltre alle materie obbligatorie, il calcolo delle probabilità e la teoria dei giochi. Il tema dell’individuo che vuole essere autosufficiente, e tuttavia anche vincente, solo contro tutti, è dominante nel romanzo borghese, e assente nella narrativa di mafia. Ma l’autore, contro la logica profonda che muove la materia narrativa, e che è quella che veramente lo guida, ha deciso di scrivere un romanzo di mafia. Siti ha temperamento e interessi ben diversi da quelli di Roberto Saviano, anche se ci tiene a inserire Saviano nella pagina dei ringraziamenti per le notizie che Saviano gli ha fornito sulla “zona grigia” tra finanza e criminalità. Egli è cresciuto e si è formato non a Scampia, come Saviano, ma nella Scuola Normale Superiore di Pisa: è naturale che a lui interessi la logica della competitività, che è alla base della concezione borghese della vita e, quindi, del romanzo europeo. Palesemente, la sua concezione della vita è il contrario di quella del mafioso, che non è individualista e intellettualmente aristocratico, ma pone al sommo dei valori la fedeltà a una “famiglia”, dalla quale deriva ogni vantaggio, e che può essere tradita, certo, ma dalla quale allora deriva la morte (concezione, come si vede, arcaica, e mi stupisce che questa arcaicità non venga rilevata da quelli che sottolineano il contributo delle mafie al processo di globalizzazione).
La lotta di Tommaso per il successo è per un momento interrotta, e anche messa in forse, da un episodio narrativamente importante, perché su di esso avrebbe potuto svilupparsi una riflessione sui valori che rendono una vita degna di essere vissuta. Questo episodio viene ignorato dai critici che hanno scritto sul romanzo di Siti: non casualmente, penso, perché l’autore non ne segnala l’importanza; anzi, si direbbe, fa di tutto per minimizzarlo e quasi per occultarlo, forse perché lo sente troppo estraneo alla logica della vicenda che intende raccontare. È la storia dell’amore adolescenziale di due sconfitti, Tommaso e Stella, una ragazza ammalata di fibrosi cistica, che le intasa i polmoni di muco e le rende impossibile la vita di relazione: un’esclusa, quindi, come è un escluso Tommaso. Tra i due “mostri”, ricoverati in ospedale, si stabilisce una relazione che Siti descrive con pochi tocchi da grande narratore:
In ogni caso era successo, nel più squallido e tenero dei modi e nel luogo meno romantico; tra le maioliche bianche, frugando e chinandosi, senza un’idea in testa e senza scoprirsi troppo; con reciproco tornaconto e una fisiologia perfettamente sana; regalandosi erezione e tosse, e liquidi fuori bersaglio. Riabbottonandosi e cercando di ricordare quel che aveva appena intravisto, Tommaso considerava tra sé: ecco, la mia fissa è sempre stata di non toccare le cose degli altri, ma questi dieci minuti sono gli altri che non me li devono toccare.1