David Bromwich

Fedeltà e incongruenze nel Lincoln di Spielberg

da ''The New York Review of Books''

Lincoln, un film di Steven Spielberg.

La rielezione di Abramo Lincoln rimase in dubbio per buona parte dell’estate e dell’autunno del 1864. Tuttavia, le vittorie dell’Unione a Mobile Bay e ad Atlanta riaccesero la fede della gente nella sua leadership, e così Lincoln conquistò il 55 per cento dei voti. A dicembre, la fine della guerra civile sembrava ormai prossima.  [...]

La rielezione di Abramo Lincoln rimase in dubbio per buona parte dell’estate e dell’autunno del 1864. Tuttavia, le vittorie dell’Unione a Mobile Bay e ad Atlanta riaccesero la fede della gente nella sua leadership, e così Lincoln conquistò il 55 per cento dei voti. A dicembre, la fine della guerra civile sembrava ormai prossima. E non più tardi della fine del 1863, il Presidente aveva capito che l’abolizione totale della schiavitù era essenziale per la fine del conflitto; nel giugno 1864, poi, aveva cominciato a esercitare pressioni affinché fosse approvato il XIII emendamento, che avrebbe bandito la schiavitù dagli Stati Uniti. Quella volta fu costretto a tornare sui propri passi dal voto alla Camera dei Rappresentanti. Ma, ora, disponendo al Congresso di un numero più ampio di repubblicani, era sicuro di disporre dei due terzi di voti per farlo approvare. Nel messaggio di dicembre rivolto al Congresso, Lincoln spiegò che l’emendamento era una questione urgentissima: «Il prossimo Congresso approverà la misura, se non ci pensa quello attuale» e «come non possiamo essere d’accordo che prima sarà meglio è?».

Intanto l’ala moderata del partito di Lincoln1 aveva trovato una nuova opportunità per soddisfare il loro desiderio di una fine conciliatoria e anticipata della guerra. Francis Preston Blair2 (il cui figlio Montgomery era stato estromesso dall’esecutivo come concessione ai radicali) chiese e ottenne da Lincoln il permesso di incontrare i leader della Confederazione per capire se il Sud fosse pronto a tentare la pace. Tre commissari di pace sudisti, fra i quali il vicepresidente della Confederazione Alexander Stephens, furono inviati ad Hampton Roads, in Virginia, a non più di duecento miglia da Washington. Qui avrebbero conferito con il segretario di Stato di Lincoln, William Seward, accompagnato dal Presidente in persona.

Lincoln ascoltò le proposte dei Confederati ma non poté accettare un elemento importante della loro posizione, ossia che il Nord e il Sud andassero considerati come nazioni separate. Difficilmente egli poteva aspettarsi un risultato migliore. Inoltre, questo sondaggio di pace abortito giunse purtroppo nel pieno della campagna per approvare il XIII emendamento, e gli alleati di Lincoln al Congresso gli chiesero personalmente di smentire le voci che in città fossero presenti negoziatori ribelli.

La risposta del Presidente fu abilmente evasiva. Del resto, Hampton Roads non era mica Washington! «Per quanto mi consta – scriveva Lincoln – in città non ci sono, né ci saranno, commissari di pace». Così l’emendamento passò, i commissari della Confederazione ritornarono a Richmond3, e la storia si arricchì di un nuovo esempio che, a volte, la realtà politica richiede all’uomo di Stato di sapersi giostrare su più fronti, tre nel caso di Lincoln: la pressione a concludere la guerra a determinate condizioni, il bisogno di mantenere un sostegno drastico a un’iniziativa drastica, e il lato positivo di dimostrare ai moderati che era stata esplorata ogni strada. Forse era in gioco anche un quarto fronte: la reputazione di onestà, di probità e di coerenza del Presidente.

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