Letteratura: uno sguardo sul ruolo della paternità nelle opere di Kafka e Roth. Nel 1973 usciva negli Stati Uniti la prima opera di non fiction di Philip Roth, intitolata Reading Myself and Others. Il libro, che non ricevette un’accoglienza particolarmente calorosa nemmeno dalla critica, conteneva una serie di saggi e di interviste che tentavano di collocare l’opera di Roth nel panorama della letteratura ebraica. Si trattava principalmente di un’operazione editoriale concepita con l’intento di conferire una dignità teorica al successo di pubblico che l’autore aveva riscosso durante i primi anni della sua attività, da Goodbye, Columbus a Portnoy’s Complaint, e che in quel periodo rischiava di ristagnare in un calo di ispirazione. Tra i vari pezzi raccolti nel volume, tuttavia, ce n’erano due abbastanza validi, come osservava all’epoca Roger Sale sul ‘New York Times’: Imagining Jews e Looking at Kafka. Nel maggio 2011 Einaudi ha pubblicato per la prima volta in italiano il secondo di questi due saggi, nella brillante traduzione di Norman Gobetti, con il titolo «Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno» ovvero, guardando Kafka. Il libretto (una quarantina di pagine in tutto) è suddiviso in due parti. Nella prima – di natura saggistica – Roth si sofferma sulla vita affettiva di Franz Kafka.