Roberto Quagliano

Le Interviste Impossibili: Emily Brontë

Questo articolo è la trascrizione della puntata di “Le Interviste impossibili” dedicata a Emily Brontë. La serie TV è prodotta da Kamel Film in collaborazione con RAI Cultura: sei puntate di 30 minuti l’una.
Roberto Quagliano è autore di testi, sceneggiatura e regia. 
Giulia De Florio, Giovanna Buonanno, Annamaria Contini del dipartimento di lingue e letterature straniere dell’Università di Modena e Reggio Emilia hanno curato la supervisione scientifica dei testi.
Il progetto riprende l’esperienza fatta da Radio RAI con le interviste ai grandi scrittori e personaggi del passato.
Questa versione televisiva di quella esperienza si dedica a sei scrittori che la serie radiofonica non trattò:
Emily Brontë (1818-48), Lev Tolstoj (1828- 1910), Arthur Conan Doyle (1859-1930), Marcel Proust (1871-1922), Jack London (1876-1916), Ernest Hemingway (1899-1961).

L’intervista agli scrittori sopra menzionati è ricostruita come fosse una intervista televisiva spiata da una telecamera nascosta.

Il taglio ricalca in parte quanto già fatto con le interviste impossibili di Radio RAI scritte dai grandi scrittori italiani attivi all’epoca della realizzazione della serie radiofonica negli anni ’70 del novecento. E quindi Eco, Calvino, Ceronetti, Manganelli, Arbasino e i numerosi altri che hanno contribuito a rendere così famosa quella serie. La nostra versione in larga parte si è basata sui nuovi spunti critici, sia sull’opera che sulla vita degli stessi autori, apparsi negli articoli della ‘New York Review of Books’ di cui noi, come Kamel Film, pubblichiamo questa versione ridotta in italiano. Nell’immaginario dialogo fra l’intervistatore e lo scrittore si ripercorrono sia le esperienze di vita, spesso movimentate e avventurose, sia la poetica. Poetica considerata di per sé stessa e in relazione agli avvenimenti storici contemporanei alla vita dello scrittore. Quindi i movimenti artistici a cui essi si sono contrapposti o a cui hanno aderito e in generale l’esperienza come artisti in relazione al clima culturale che hanno condiviso durante la loro vita.
Una parte delle interviste è dedicata alla ipotetica interpretazione delle tematiche del presente viste attraverso gli occhi di questi grandi del passato. Molte tematiche del presente furono parte del bagaglio intellettuale di tutti loro e già allora da essi furono posti temi ‘moderni’, a noi contemporanei, con un approccio di sfida nei confronti della cultura egemone nella società in cui vissero.

EB: sì, sono nata a Thornton nello Yorkshire, quinta di sei figli: Maria nel 1814, Elizabeth nell’anno seguente, Charlotte nel 16… tre femmine a distanza di un anno una dall’altra… come doveva essere consumato il corpo di mia madre?… l’anno dopo nacque Branwell, l’ unico maschio, povero … con 5 sorelle intorno… non riesco a immaginare come possa essere stato, ma visto l’amore disperato in cui si coinvolse, che lo condusse a una morte giovane, dev’essere stata un’esperienza esaltante e spossante

INT.: pensa che voi sorelle abbiate avuto responsabilità nella sua corsa verso la rovina?

EB: chi lo può sapere… ci divertivamo a giocare con la sua unicità … era da una parte estraneo alla nostra sensibilità, ma allo stesso tempo una fonte continua di curiosità per noi femmine… alcune con una lingua veramente tagliente, lascito del sangue irlandese che scorreva nelle nostre vene… A distanza di un altro anno nacquì io e finalmente nostro padre concesse alla mamma una pausa prima che nascesse Anne. Dopo queste nascite a ripetizione, nello stesso 1820, ci trasferimmo nella brughiera di Haworth, dove nostro padre Patrick era stato nominato curato perpetuo. Era un uomo di chiesa, ma un uomo nel senso più pieno della parola… come dimostrano i fatti

INT.: era un uomo autoritario? Che faceva valere i propri diritti di capofamiglia?

EB: un uomo… un uomo che visse la fine del settecento con tutti i rivolgimenti sociali e politici, e in qualche modo culturali, che lo attraversarono e che ebbe la fortuna e la forza di vivere buona parte dell’ottocento… morì a 84 anni, in una famiglia in cui la moglie ne visse 39 e i figli morirono a 10, 11, 29, 30, 31… e 39 anni… si rende conto cosa deve aver passato vedendo sparire di fianco a sé le persone a lui più care? … tutte ancora nel pieno della gioventù. Le sorelle più grandi morirono a 10 e 11 anni e me ne ricordo bene… avevo sette anni. Lui vide la morte rapirgli le persone che più amava e io quelle con cui giocavo e litigavo e lottavo e creavo storie fantastiche… era da poco scomparsa nostra madre… io e Anne non avevamo ricordi di lei, non capivamo ancora cosa fosse successo. Solo reminiscenze involontarie suscitate da oggetti a lei appartenuti… e la sensazione dell’inspiegabile pianto delle sorelle più grandi che, chissà come, si era depositata nelle nostre coscienze… come una polvere che copre, ma non nasconde… negli anni seguenti ci raccontarono quella perdita e la loro disperazione… quando raggiungemmo un’età che consentiva di trattenere nella memoria impressioni e ricordi di pensieri…

Int.: delle sorelle ricorda…

EB: la scomparsa delle sorelle più grandi, a un mese una dall’altra?… Avevamo studiato in casa con nostro padre come insegnante, tutte insieme… avevamo giocato e fatto viaggi interminabili con la fantasia… finchè non arrivò quel maledetto collegio… Improvvisamente, e non so perché, ci mandarono tutte lì!

INT.: mi permette un ricordo…

EB: prego

INT.: qualche anno fa mi trovavo in un piccolo villaggio del Nord Carolina, negli Stati Uniti d’America

EB: vada avanti

INT.: camminando in questo villaggio, tanto diverso dalla vostra brughiera, con strade sterrate di terra rossa e casette di legno tipiche del profondo sud americano… m’ imbattei in un minuscolo cimitero, proprio al centro del villaggio… non più di dieci lapidi a terra. In una tomba di famiglia, dignitosa ma povera, erano scritti quattro nomi… due sorelline erano morte lo stesso giorno del 1951, una a 10 e una a 11 anni… il nome della madre, morta esattamente dieci anni dopo, nel ’61… e stranamente era già inciso il nome del padre, con la sola data di nascita… aveva quasi novant’anni…

EB: e l’ è venuto in mente che le sorelle Bronte erano morte alla stessa età e quasi contemporaneamente

INT.: pensai alle sue sorelle, e questo evocò lo Yorkshire, da lei tanto amato… la sua brughiera… ma ero in un paesaggio accaldato e rosso come il fuoco, tanto distante dal paesaggio da lei amato… ma la parola, con la forza del racconto, può trasformare la realtà sotto i nostri occhi

EB: forse addirittura la crea. Non potrebbe essere? Quando facevamo i nostri viaggi nelle isole del Pacifico, per sviluppare le storie dei soldatini che ci aveva regalato nostro padre, e quando seguivamo i suoi racconti e le sue sollecitazioni a fantasticare, i nostri erano viaggi veri… non li sentivamo come frutto della fantasia, ma rimasero come veri e propri ricordi… e per anni… per sempre. Successe così fino a quando raggiungemmo i 12, 13 anni… poi la cosa svanì e rimase la voglia di mettere per iscritto quelle esperienze… nella speranza che potessero essere evocate e fatte rivivere… forse nacque da quel desiderio il bisogno di scrivere… il dispiacere di aver perso quella particolare sensibilità, così tipica dell’infanzia, ci costrinse a scrivere per ricordare

INT.: fu in questo ambiente che fiorì il talento letterario delle sorelle Brontë. Ho letto che vostro padre era una persona severa e poco incline alla tenerezza verso i figli. Ha influito questo…

EB: non le sembra strano che da una stessa famiglia vengano fuori tre scrittrici e diventino tutte e tre famose e apprezzate nel mondo? E se così è stato, come può pensare che non abbia svolto una funzione fondamentale chi ci ha fatto da educatore e da guida morale… nostro padre era una persona particolare, molto fantasiosa che, rimasto vedovo con sei bambini, adottò per noi un’educazione sperimentale per quei tempi… assecondò le nostre inclinazioni artistiche e intellettuali mentre ci parlava di politica e di filosofia… anche con noi femmine. Non c’ impedì mai di cercare qualsiasi cosa volessimo nella sua biblioteca… anche i giornali. C’ insegnò la musica e la pittura… imparai il piano piuttosto bene…

Int.: come arrivaste da quei soldatini ad una scrittura così originale?

EB: ci invitò a utilizzarli per inventare storie e noi ne escogitammo un’infinità, che mettemmo per iscritto. Fu lui ad accendere la scintilla raccontandoci fin da piccole storie fantastiche. Ma dopo la morte di nostra madre nel ‘21, ci fu un periodo confuso in cui successero cose per noi poco comprensibili… fummo affidate alle cure di una vedova di nome Tabitha Aykroyd, Tabby, e alla sorella di nostra madre, Elizabeth, che si era trasferita per assisterla durante la malattia, e che poi si fermò per sempre. Evidentemente quelle due donne non riuscirono a tenerci dietro come avrebbe voluto nostro padre, il quale alla fine ci mandò alla Clergy’s Daughters School di Cowan Bridge. Una scuola ‘femminile’ (sottolineato dal tono della voce). Le condizioni di quell’istituto erano così malsane, l’igiene così trascurata, il vitto così insufficiente… e l’aria, così permeata di fanatismo religioso che fu un’esperienza devastante.

Int.: rimase qualcosa di quell’ esperienza nelle vostre opere

EB: fu raccontata da Charlotte nel romanzo Jane Eyre. Ma quell’aria fetida fece ammalare Maria, nostra sorella maggiore, di tubercolosi, così fu riportata a casa, dove morì di lì a poco, seguita a un mese di distanza da Elizabeth. L’epidemia di tifo nel collegio spinse nostro padre a riportare a casa anche Charlotte e me, ma la mia salute era irreparabilmente minata. Abbandonammo così la scuola e continuammo la nostra istruzione in casa seguite da nostro padre. Nel ‘26 ci portò quella scatola di soldatini che diventarono i protagonisti delle prime storie scritte dalle sorelle Bronte.

Casa museo Bronte

INT.: risulta che lei, Emily, all’epoca di sei anni, fosse descritta da una delle insegnanti di Cowan Bridge come “una bambina adorabile, l’autentica favorita di tutta la scuola”.

EB: deve averlo scritto dopo che noi si diventò famose, suppongo. Non ebbi la sensazione, vivendo in quella scuola, di essere così apprezzata. Ma qualche insegnante taciturna e malinconica, come poi divenni anch’io, l’avrà pensato per manifestarlo quando si lesse di noi sui giornali… o addirittura dopo la nostra morte. Chi può saperlo.

INT.: secondo un’annotazione di Charlotte, la vena letteraria scaturì da un gioco fatto fra voi bambine: “facciamo finta di avere un’isola ciascuno”. Nacque così ‘Young Men’, il primo ciclo narrativo delle sorelle Brontë. Poi deste vita ad ‘Our Fellows’ e ‘Tales of Islanders’, racconti ispirati dalle Favole di Esopo e dal sogno di possedere un’isola nel Pacifico tutta per voi. Erano gli anni delle grandi scoperte dei navigatori inglesi…

EB: chi poteva evitare l’eco di quelle conquiste della Corona… a noi non suscitavano un particolare effetto patriottico o nazionalistico, per via dell’età immagino. Fantasticammo però di una nostra isola di sogno in quel paradiso benedetto dalla natura e da Dio. Ogni epoca ha il suo paradiso in terra da contemplare come un miraggio. Per voi gli Stati Uniti d’America di cui mi parlava prima immagino. Un miraggio per voi e una sconfitta ancora fresca per la corona. Il nostro miraggio era il Pacifico di cui si vantavano le bellezze. Materia per sogni e racconti. Cose per far trascorrere il tempo in maniera più ricca di quanto non sia in realtà. Cose che ‘creano’ addirittura la realtà, come dicevamo.

INT.: quando vostro fratello Bramwell si dedicò a fondere le complesse e intricatissime vicende degli Young Men, anche lei e Anne, a 13, 14 anni, ricominciaste a lavorare al ciclo delle isole.

EB: e nel giro di pochi anni ‘Islanders’ si evolse nel nuovo ciclo di Gondal. Gondal era l’isola di nostra invenzione. C’erano talmente tante scoperte in quegli anni che chi avesse letto quelle storie avrebbe pensato fosse un’isola vera del Pacifico settentrionale. Quello fu il nostro apprendistato come scrittrici. Inizialmente lavorammo con la fantasia e basta, poi la visione si fece più complessa… scoprimmo che ci divertiva raccontare di omicidi efferati, di prigioni, di violenza. Ma in sostanza cercavamo trame divertenti. Finimmo col trasformare quel paradiso in terra in un intrico di regni rivali, con abitanti dissoluti dediti ai più sporchi giochi politici, alle vendette più sanguinose, alle storie d’amore più torbide… che mettevamo per iscritto con grande divertimento.

Int.: quei racconti non sono rimasti purtroppo

EB: purtroppo? … il cosiddetto “ciclo di Gondal” è andato perduto. Non so come sia successo. Se lo distruggemmo noi o meno. Pare che la ricostruzione delle vicende sia ancora problematica e controversa. Ma che importanza ha? Solo ciò che rimane ha importanza, non crede? E forse rimane ciò che è vincente in una sorta di lotta per la sopravvivenza. Forse anche lì, come in natura, sopravvive il più forte… di mio rimase poco, qualche poesia e un romanzo… non sopravvivemmo a lungo a quelle storie inventate neppure noi

INT.: confonde volutamente il creatore con le creazioni?

EB: dunque… voleva sapere altro?

INT.: parecchio altro

EB: sa che sono tenace, fino alla morte direi, ma non amo parlare e lei mi ha fatto parlare fin troppo… arriviamo a ciò che le interessa… ‘Cime Tempestose’!

INT.: esatto

EB: cosa potrò dirle di questo romanzo? … è venuto fuori di getto! E’ nato per i fatti suoi. Cos’ha a che fare con una persona che ama girare in solitudine per la brughiera e rifugge gli esseri umani? Sa cosa disse di me mia sorella Charlotte? “Non conosco altra donna che abbia mai scritto poesia simile” figurarsi. Avevo lasciato incustodito sullo scrittoio del salotto il quaderno segreto delle mie poesie e lei, in maniera del tutto impudente, lo scoprì e cominciò a parlarne, come fosse suo diritto. Mi scagliai contro di lei… ma la sua perseveranza, la stessa che la portò a essere la più prolifica e la più affermata di noi… anche quella che visse più a lungo… in conclusione… alla fine ci convinse a pubblicarle con uno pseudonimo, per non farci riconoscere… ma questo fece tornare in noi il desiderio di inventare storie fantastiche, di scriverle per riviverle. Perché per noi quello era un mondo più vero della realtà che ci circondava… così nacque ‘Cime Tempestose’.

Int.: come si arrivò alla sua pubblicazione

EB: vennero fuori tre romanzi e Charlotte, con estrema determinazione, sperando che “in Emily, come diceva lei, finalmente brillasse una scintilla di giusta ambizione”, si lanciò alla ricerca di un editore… tre romanzi “scritti di notte su carta brunita da noi sorelle raccolte nel soggiorno come in un fortino”, per usare le sue parole

INT.: nel suo romanzo non c’è un solo personaggio positivo. Una scelta curiosa per il periodo. Non uno con cui chi legga si possa identificare, come avviene di solito nei romanzi, anche in quelli a lei contemporanei, come quelli di Jane Austen per esempio. Una scelta drastica, con una narrazione che si svolge su poche scene in fondo. Il fulcro della narrazione, e cioè la storia d’amore fra Catherine e Heathcliff, si sviluppa sul racconto di tre soli incontri. Tutto si svolge in maniera quasi accelerata, con dialoghi perentori e situazioni sempre ai limiti della normale convivenza civile. Come mai questa scelta?

EB: molti lavori di Shakespeare presentano lo stesso tipo di perentorietà e di accelerazione narrativa. La cultura inglese è permeata da quell’autore, noi cresciamo con quei dialoghi, con quelle situazioni estreme, con quella vertigine narrativa. Pensi alla scena fra Romeo e Giulietta quando lui la crede morta.

INT.: ma lì c’è amore nella sua forma più alta, più lirica, più poetica, invece l’amore fra i suoi protagonisti è torbido; forse ha ragione Georges Bataille quando dice che Emily Brontë “ha una profonda esperienza dell’abisso del Male… poche persone avrebbero potuto essere più profonde, più coraggiose o più appropriate nel raccontarlo”.

EB: quando si parla del Male in termini assoluti si rischia di dire cose generiche, non crede? Pensi a come sono stati trattati dalle vostre trasposizioni cinematografiche, e come sono rimasti nella percezione degli spettatori, i romanzi delle scrittrici di inizio ‘800… le mie sorelle ed io o Jane Austin. Si sono trasformati in qualcosa di leziosamente romantico che in fondo ruota intorno a un unico tema e cioè l’amore disperato fra due persone che, date le convenzioni sociali vigenti, non dovrebbero amarsi, ma lottano disperatamente contro di esse per difendere il loro amore. Pensi alle trasposizioni del romanzo di mia sorella Charlotte, Jane Eyre, al modo in cui hanno trattato la storia d’amore tra Rochester e l’impeccabile governante sacrificando quello che è forse l’aspetto più affascinante del romanzo: la sua rappresentazione schietta della rabbia femminile e del risentimento di classe.

Int.: una sorta di critica sociale in termini quasi moderni?

EB: i testi di analisi sociale che hanno lasciato i segni più duraturi, uscirono proprio in quegli anni, ricorda?

Int.: beh… sì, certo

EB: anzichè gli esiti di quell’amore disperato non crede che in quel romanzo sia più interessante il convergere di questa rabbia femminile con il risentimento di classe che andava montando in quel periodo? … i nuovi modi di produzione negli opifici, sa… le 14 ore di lavoro senza distinzione fra donne o uomini… o bambini… noi eravamo rifugiate nell’ immobilità della brughiera dello Yorkshire, ma avevamo percezione di come stesse cambiando il modo di vivere, mentre le antiche convenzioni sociali persistevano imperterrite. Un po’ ho viaggiato, trascorsi anche un lungo periodo di studio in Europa, a Bruxelles.

Int.: e cosa vide?

EB: i più poveri, e per motivi diversi le donne, improvvisamente vedevano queste convenzioni sociali come qualcosa di posticcio, di falso. Coloro che prima avevano punti di riferimento saldi, legati alla professione, anche se umile, o al loro ruolo in famiglia, cominciavano a discendere la scala sociale e avvertivano l’artificiosità di questa scala. Le donne, anche se non appartenevano alle classi più povere, si vedevano costrette in ambiti che via via diventavano più angusti e si rendevano conto di aver perso anche il controllo del loro tempo, una volta scandito da rituali comprensibili, che all’improvviso erano divenuti posticci… E mancando loro gli appoggi consueti, si ritrovarono sul fondo del loro crepaccio esistenziale… a osservare il mondo nella sua cruda verità. Un mondo che, privato della credibilità delle sue convenzioni, si mostrava nella sua innaturale assurdità. E’ questo di cui parla anche il mio romanzo, non crede?

INT.: in effetti nel suo romanzo non c’è un eroe convenzionale o un’eroina. L’ arroganza dei protagonisti, la loro brutalità e impulsività autodistruttiva, nelle trasposizioni cinematografiche vengono diluite e addomesticate in qualcosa di più familiare e accettabile per il pubblico. In quei film gli amanti sono imperfetti ma in essi ci si identifica, sono personalità turbate, ma suscitano la pietas di chi li osserva, sono peccatori recidivi ma in nome di un ideale più alto, l’ideale romantico del ‘vero amore’, a cui tutto merita di essere sacrificato.

EB: e immagino che questo rimanga come eredità culturale nella coscienza di chi quelle trasposizioni va a vedere… succede che a quell’ideale di ‘vero amore’ venga sacrificato tutto? La famiglia, i figli e ogni valore ad essa legato? In nome di quell’ideale ci sono tanti che sacrificano tutto? Succede questo?

INT.: in qualche modo … ma venendo al risentimento di classe cui faceva cenno…

EB: Heathcliff è un bambino abbandonato per le strade di Liverpool fino a quando il padre di Catherine, il signor Earnshaw, lo salva e lo porta nella sua casa come fratello per i suoi figli; ma, quando il padre viene a mancare, il fratello di Catherine, Hindley, lo ricaccia in quello che lui ritiene sia il suo posto, un servo nella famiglia che era stata sua per qualche tempo. Il risentimento sorge in lui inevitabile e diventa desiderio di vendetta senza remore.

INT.: come mai un protagonista come figlio adottivo e trovatello quasi zingaresco, scuro di pelle, che reagisce al mondo con rabbia e rancore

EB: sa quanti bambini orfani, o comunque abbandonati, vivevano nella sola Londra all’inizio del diciannovesimo secolo? Pare che 80 mila bambini vagassero nella notte senza meta, senza cibo e senza cure. Alla mattina venivano raccolti i corpi di coloro che non avevano superato la notte. Potrebbe colpire la sensibilità di qualcuno? … colpì la mia, evidentemente, e così nacque il personaggio di cui avevo visto copie ovunque, in Inghilterra e in Europa. La vostra cultura ha trascurato quest’ aspetto del romanzo, immagino… forse non vi capita di vedere persone abbandonate che dormono per strada perché non hanno una casa…

INT.: hum hum… e il suo disprezzo per i due ragazzi che definiremmo ‘di buona famiglia’?

EB: Hindley, il fratello debosciato di Catherine; e Edgar, il signorino ben educato, biondo e ricco che abita nella bellissima casa a quattro miglia da Wuthering Heights… ho visto questi ragazzi nella vita reale, spesso a fianco di quelli che lavoravano nelle loro tenute. Questi li osservavano come esseri strani, fragili. La loro sicurezza di portamento era disarmante di fronte all’ inconsistenza dei figli dei loro padroni. Come facevo a non notarla? Catherine ha una natura selvaggia che la porta a disertare la sua condizione privilegiata e, finchè il padre è in vita, protegge il fratello adottivo. Lo invita a crescere insieme a lei come selvaggi nella brughiera: felici, liberi e isolati rispetto agli abitanti della fattoria e del vicinato.

INT.: che ruolo ha avuto invece l’amore nella sua vita? E’ morta così giovane, ma ha viaggiato e avrà certamente provato la sensazione che ha descritto in modo così intenso e originale…

EB: la sensazione che si prova quando non sei mai sazia di guardare una persona?

INT.: sì… una persona… un uomo

EB: a Bruxelles avevamo un insegnante e successe una cosa curiosa, era come se ogni momento in cui i suoi occhi si posavano altrove dai miei, mi causasse una sorta di inquietudine… un’inquietudine che m’induceva a bramare nuovamente la quiete che mi donava il suo sguardo. Se distoglievo per un attimo gli occhi e, tornando su di lui, vedevo che guardava altrove, mi sentivo leggermente ferita… C’era un rapporto formale fra noi, ma ciò pareva farci accedere a stadi evolutivi tramontati. A un rapporto fra uomo e donna in cui dall’apparente distanza nasceva una comunione, sia sentimentale che fisica, in grado di trascendere qualsiasi ostacolo, di far accedere a qualsiasi piacere. Così pensai allora. Un rapporto formale che in mancanza d’amore avrebbe portato alla prevaricazione e all’ odio. Ma lì l’amore trasudava da ogni gesto, da ogni parola, da ogni sorriso, da ogni sguardo, da ogni silenzio, da ogni mancanza, da ogni ricordo.

INT.: un amore ricambiato?

EB: anche mia sorella s’ innamorò di lui… ero ormai abituata… anzi, mi piaceva molto, stare da sola, fare lunghe passeggiate e scrivere… mi bastava

INT.: capisco… perchè non volle vedere un dottore fino al giorno in cui morì? Quella perseveranza e ostinazione nel compiere ogni giorno i suoi doveri domestici, senza considerazione per la sua salute, che sapeva molto compromessa…

EB: “Quando il cervello comincia a pensare, e l’anima sente la carne e la carne la catena…” scrissi in una poesia. Il mio corpo viveva in catene… e in qualche modo mi ero affezionata a quelle catene… stavo per morire e continuavo a fare le faccende domestiche, è vero… una cosa romantica, quasi eroica… non trova? I miei ultimi giorni somigliano a quelli di Heathcliff, che decide quando è giunto il suo momento… rifiutai il medico e le medicine… ma il giorno in cui la fine era inevitabile… desiderai di poter vedere ancora a lungo la brughiera, la mia casa… stare ancora a lungo con le mie sorelle… chiesi così che chiamassero il medico… poi mi misi a letto e attesi… quando arrivò, quell’ultimo desiderio era diventato vano… non c’ero più… avevo rotto le mie catene.  A ventinove anni…

Int.: (voce fuori campo) cercai e subito trovai le tre lapidi sul pendio che confina con la brughiera… rimasi un poco tra le tombe, sotto il cielo benevolo, guardai le falene svolazzare tra l’erica e le campanule, ascoltai il vento lieve soffiare in mezzo all’erba: e allora mi chiesi come si potessero immaginare sonni inquieti per chi riposava in quella terra quieta.

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