Martin Filler

L’insolenza dell’architettura

da ''The New York Review of Books''
ARCHITETTURA: Martin Filler recensisce Why We Build: Power and Desire in Architecture del critico di architettura Rowan Moore. Un saggio che non solo esplora le follie e gli eccessi dell’architettura moderna, ma che analizza anche i profondi effetti sociali di questa arte e le spietate conseguenze morali per coloro che le danno vita.
ROWAN MOORE, Why We Build: Power and Desire in Architecture, Harper Design, pp. 392, $ 30,00

Raramente gli scrittori di architettura trasmettono un senso del luogo con l’acutezza di osservazione, l’immediatezza fisica e (a volte) l’indignazione morale del giornalista britannico Rowan Moore. Fin dalla svolta del millennio, Moore – dell’università di Cambridge – un  architetto esperto e fratello più giovane di Charles Moore, editore del giornale ‘Spectator’ e biografo autorizzato di Margaret Thatcher – è stato corrispondente di architettura per l’ ‘Evening Standard’, poi direttore della Architecture Foundation di Londra e ora critico di architettura dell’ ‘Observer’. Michael Sorkin infiammò le pagine del ‘Village Voice’ di New York negli anni ’80 con le sue tirate contro Philip Johnson, Paul Goldberger e altre voci dell’establishment della progettazione architettonica. Da allora nessun altro critico di architettura della stampa è stato un esperto così acuto dell’ambiente costruito come Moore e un  estimatore così mesto dell’affarismo in costante aumento e dell’esibizionismo senza senso che dominano l’architettura contemporanea.

 

Moore comincia il suo vivace, ad ampio spettro e provocatorio nuovo libro, Why We Build: Power and Desire in Architecture, con una scena  tremendamente divertente, anche se profondamente allarmante, che lo vede in elicottero sorvolare quel parco a tema architettonico che è Dubai, l’emirato arabo povero di petrolio determinato a usare lo sgargiante sviluppo urbano per “brandizzare” sé stesso come destinazione desiderabile per investitori e turisti, e perciò determinato a diventare uno dei centri di potere economico mondiale sul tipo di Singapore. Benché Moore invochi la famosa sequenza della “Cavalcata delle Valchirie” di Francis Ford Coppola da Apocalypse Now, il suo occhio per il dettaglio grottesco mi ricorda più l’apertura de La dolce vita di Federico Fellini, in cui una statua di Cristo appesa a un elicottero sorvola il Vaticano, con le braccia aperte in un’involontaria benedizione.

 

La sortita aerea descritta da Moore così vividamente faceva parte di un viaggio per la stampa tenutosi nell’ottobre del 2008 (un mese dopo il crollo dei mercati internazionali) per celebrare l’apertura dell’Atlantis Hotel di Dubai del costo di 1,5 miliardi di dollari. Un evento promozionale che Moore dice essere costato circa 22 milioni di dollari, su per giù 11.000 dollari per ognuno dei duemila inviatati. Per quanto immorale possa sembrare, scommetto che è ciò che  è stato speso a testa per me per Moore e nelle due occasioni in cui i nostri cammini si sono incrociati: la prima, nella gita nel 2000 pagata da Santiago Calatrava per vedere il suo lavoro in tre diverse città europee, e, nove anni dopo, nella follia durata una settimana voluta dal governo greco per celebrare l’apertura del Museo dell’Acropoli di Atene progettato da Bernard Tschumi. Il secondo spreco di soldi fu così mostruoso che alcuni partecipanti ironizzarono in seguito sul fatto che dopo le costosissime Olimpiadi di Atene del 2004, era stata la nostra abbuffata a spingere la già traballante economia greca nel baratro.

Il Museo dell'Acropoli di Atene

Il Museo dell’Acropoli di Atene

Né Moore né io abbiamo rimorsi a mordere le mani che ci sfamano, come conferma il suo velenoso resoconto del baccanale di Dubai. Da parte mia, ho dato un giudizio tutt’altro che riconoscente su Calatrava  dopo quel viaggio per altri versi piacevole. Il che spinse il mortificato architetto a lamentarsi con la società di pubbliche relazioni di New York che lo aveva organizzato. «Ti abbiamo promesso degli articoli», gli disse freddamente il responsabile delle relazioni esterne, «non critiche entusiaste».

 

La necessità di coloro che scrivono di architettura di vedere di persona gli edifici di cui scrivono aggiunge un ulteriore livello di potenziale connivenza alla triade architetto/cliente/critico. Poiché gli introiti della stampa si sono ridotti negli ultimi anni, per le riviste è sempre più difficile rifiutare il sostegno per il viaggio dei loro recensori. Alcune agenzie di stampa vietano ancora severamente questi omaggi, ma la prova dei fatti indica che tutti i mezzi possibili sono impiegati per evitare scorrettezze. Molti giornalisti arrivano alle loro destinazioni con ogni mezzo possibile.

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