Edmund White

Proust il lettore appassionato

da ''The New York Review of Books''

ANKA MUHLSTEIN,Monsieur Proust’s Library, Other Press, 141 pp., $19.95

LETTERATURA: Edmund White recensisce un saggio che, nell’anniversario de La strada di Swann, analizza gli entusiasmi, gli antagonismi e le influenze letterarie del grande scrittore Marcel Proust.

Proust era un grande lettore, come lo sono tutti I suoi personaggi. Egli scrisse, «La vita vera, la vita in definitiva messa a nudo e chiarita, la sola vita, dunque, che può essere detta pienamente vissuta, è la letteratura». I libri sono spesso il soggetto delle conversazioni e delle discussioni dei suoi personaggi. Alcuni autori sono abbinati ai loro personaggi principali (Racine è il favorito della madre del narratore). I libri spesso influenzano i temi e anche la struttura de Alla ricerca del tempo perduto (Charlus è ovviamente un discendente del maestro del crimine Vautrin di Balzac, imperioso, mercuriale, omosessuale). Lo stile di Proust sembra dovere molto alle sue traduzioni di Sesamo e gigli e La Bibbia di Amiens di Ruskins; la sua complessa sintassi e le sue interpellanze tra parentesi assomigliano più al grande scrittore inglese vittoriano che ai suoi antecedenti o contemporanei francesi, anche se si può dire che in certo modo sia stato influenzato da Saint-Simon.

Anka Muhlstein, che recentemente ha scritto su Balzac (Balzac’s Omelette), qui rivolge la sua attenzione agli entusiasmi, gli antagonismi e le influenze letterarie di Proust – un soggetto perfetto nel centesimo anniversario de La strada di Swann1. Il fatto che lei stessa sia francese e che sia stata mandata a Parigi in un liceo non dissimile da quello del testo, la rende una lettrice sensibile alle sfumature di stile e agli echi dei più vecchi autori francesi tradizionali.

Per esempio, ha esaminato il libro – François le Champi di George Sand – che la madre del narratore gli legge come storia per farlo addormentare quando è un ragazzino ansioso. È una scelta peculiare da parte di Proust, dato che è il racconto di un giovanotto cresciuto con benevolenza da una donna più vecchia, Madeleine, e finisce per sposare questa figura materna –in particolare poiché Proust stesso venerava sua madre e tre anni dopo la sua morte cominciò il suo lungo romanzo come una sorta di dialogo platonico tra il narratore e la madre incentrato su Sainte-Beuve, il critico che dominò la letteratura  francese all’inizio del diciannovesimo secolo.

In un’affascinante nuovo studio chiamato Tout Contre Sainte-Beuve di Donatien Grau (Grasset, 2013), veniamo a sapere che Proust fu a lungo incerto se presentare il suo attacco a Sainte-Beuve come un saggio “classico” alla maniera del critico e storico Hippolyte Taine o come un dialogo con sua madre morta. Esistono due lettere che scrisse a due vecchi amici, Anna de Noailles e Georges de Lauris, in cui chiedeva il loro consiglio su quale forma avrebbe dovuto scegliere. Come scrive Muhlstein citando Proust: «Dovrei scrivere un romanzo? Un saggio filosofico? Sono un romanziere? Trovo consolante il fatto che Baudelaire abbia basato i suoi Petits Poèmes en prose e Les Fleurs du Mal sullo stesso tema». Stava esitando tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Scelse di essere moderno.

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