Luca Alvino
In piena notte, durante una tempesta di neve nel cuore di un Paese caucasico non meglio identificato, un gruppo di uomini viaggia a bordo di un grottesco mezzo cingolato dismesso dall’esercito locale. Siamo nel terzo capitolo del Responsabile delle risorse umane di Abraham B. Yehoshua. Gli uomini, profondamente diversi l’uno dall’altro, si conoscono appena, e stanno discutendo della concezione dell’amore espressa da Platone nel Simposio. «Eros» afferma uno di loro parafrasando il filosofo greco «non è né dio né uomo, bensì un demone. Coriaceo, sporco, scalzo, povero, senza una casa, vagabondo. Però ha il potere di rappresentare il legame tra l’umano e il divino, tra l’eterno e il temporaneo»1. Platone – e con lui Yehoshua – non parla qui dell’amore romantico, che sancisce vincoli benedetti riconducendoli a un’idea di superiore assolutezza e inviolabile sacralità; ma allude piuttosto all’aspetto indecente dell’amore, quello più ingovernabile, che non rinsalda certezze, ma che – al contrario – disorienta, genera scompensi, mette in discussione. Non di una forza che unisce, ma di un’energia che separa, incentrata assai più sulla conflittualità dell’eros che non sulla stabilità di rapporti definiti.