Priyamvada Natarajan

Rivelazioni dallo spazio

da ''The New York Review of Books''
SCIENZA: Le immagini prese dallo spazio della Terra e del nostro sistema solare, e persino film di fantascienza come Interstellar di Christopher Nolan, possono davvero portare a nuove scoperte in campo scientifico?

MICHAEL BENSON, Cosmigraphics: Picturing Space Through Time, Abrams, pp. 320, $ 50,00

CHRIS HADFIELD, You Are Here: Around the World in 92 Minutes—Photographs from the International Space Station, Little, Brown, pp. 200, $ 26,00

Interstellar, un film diretto da Christopher Nolan

KIP THORNE, The Science of Interstellar, con una prefazione di Christopher Nolan, Norton, pp. 324, $ 24,95

1.

Nel giorno di San Valentino del 1990, a più di quattro miliardi di miglia dalla terra, nell’immenso vuoto e silenzio dello spazio, l’otturatore della fotocamera della sonda spaziale Voyager 1 scattò rapidamente, prendendo sessanta fotogrammi in rapida successione. Tra questi c’era un’immagine che è diventata una delle immagini più famose mai raccolte nello spazio. In essa, la terra non è nient’altro che un piccolo puntino, catturato dai raggi solari.

Fu Carl Sagan a suggerire l’immagine del Voyager 1 che si guarda indietro e fotografa la Terra, essendo la sonda lanciata alla ricerca dello spazio profondo, oltre il nostro sistema solare, dove tuttora si trova. Ispirato da questa immagine, Sagan meditava nel suo libro Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space (1994): «Guardate di nuovo quel puntino. Quello è qui. Quello è casa. Quello siamo noi». E concludeva dicendo: «Ogni santo e ogni peccatore nella storia della nostra specie ha vissuto lì – su un granello di polvere sospeso in un raggio di sole».

La terra fotografata dalla sonda Voyager 1

La terra fotografata dalla sonda Voyager 1

Il lirismo di Sagan era inteso a enfatizzare la connessione senza tempo tra tutti gli abitanti della terra, del passato e del presente. Magistrale nell’uso dell’immaginazione astronomica per far interessare il pubblico alla scienza, egli è meglio conosciuto per la serie televisiva in tredici puntate Cosmos, che fu trasmessa per la prima volta sulla PBS nel 1980. Serie vista da allora da oltre 500 milioni di persone in sessanta paesi. Molte generazioni di scienziati da allora sono stati indotti a fare gli scienziati da Cosmos.

Carl Sagan

Carl Sagan

L’immagine ampiamente pubblicizzata della terra come un pallido puntino blu che galleggia nello spazio ha dato inizio ad una rivoluzione nella percezione del nostro pianeta. Le immagini fotografiche del cielo notturno prese dalla terra e le immagini prese dallo spazio dal satellite, che si rivolge indietro alla terra così come al sistema solare intorno ad essa e oltre, continuano ad essere un’importante fonte di conoscenza del cosmo da parte del pubblico. Considerate, per esempio, le prime immagini fotografiche della terra prese dal satellite che ruotava in orbita intorno alla luna nel 1966, e la famosa immagine della Nebula Horsehead presa dall’Osservatorio Anglo-Australiano dal fotografo astrale David Malin e le immagini di Michael Benson, alcune rielaborate al computer partendo da fotografie prese da sonde spaziali, apparse nel suo libro Beyond. Tutte queste hanno fornito una sbalorditiva prova visiva del posto che occupiamo nel sistema solare e hanno dato forma alla nostra nozione dello spazio.

La Nebula Horsehead

La Nebula Horsehead

Sia Cosmigraphics: Picturing Space Through Time di Benson, che You Are Here: Around the World in 92 Minutes dell’astronauta Chris Hadfield, portano avanti il lascito di Sagan nell’usare le immagini per evocare le realtà dello spazio e della scienza a beneficio del vasto pubblico. In un’epoca in cui così tante immagini della NASA sono disponibili online, e in cui l’esplorazione dello spazio attraverso sonde come Rosetta è così mirata a sondare le possibilità di colonizzazione e il potenziale ricavo di risorse dalle comete, questi libri sollevano anche una questione più ampia. Oltre a generare stupore e meraviglia,  a quali scopi scientifici servono le immagini dello spazio?

Il cielo notturno è stato documentato e studiato per migliaia di anni. Il Disco di Nebra, di rame battuto e oro, datato 1.600 a.C. e trovato nella regione della Sassonia-Anhalt in Germania, ritrae il sole, la luna crescente  e le stelle, incluso un gruppetto di esse che si ritiene siano le Pleiadi. Gli antichi mesopotamici erano anche assidui e prolifici archivisti astronomici.

Le inscrizioni della Tavoletta di Venere Babilonese, datata 700 a.C., che segna le posizioni del pianeta Venere nel cielo, suggeriscono che i babilonesi, come tutti i popoli antichi, videro una relazione diretta tra i fenomeni celesti e quelli terrestri. Il fatto di poter vedere o meno Venere nel cielo determinava il fatto che piovesse o meno sulla terra.

Era loro chiaro che queste evidenti correlazioni richiedessero una spiegazione, un agente che assicurasse il ricorrere di queste, e  si rivolsero quindi ai loro dei e, occasionalmente, a un demiurgo. Mettendola in un altro modo, si può dire che le prime spiegazioni per i fenomeni celesti osservati, quelle che potremmo  definire in senso lato teorie cosmologiche, fossero in realtà miti. Questi miti a loro volta si portavano dietro rappresentazioni e immagini. Un modo di comprendere il ruolo delle immagini nell’astronomia moderna, è quello di considerare gli astronomi come i loro antichi precursori ma dotati ora di telescopi, come creatori di mappe cosmologiche e documentaristi.

L’astronomia, forse più di ogni altra disciplina, è una scienza che si affida alle immagini. A differenza di altre branche della scienza, non si può predisporre alcun esperimento controllato nei cieli. Perciò l’osservazione è la cosa più vicina agli esperimenti veri che l’astronomia possa fare. Per esempio, lo Sloan Digital Sky Survey, operativo nel New Mexico dal 2000 al 2011, ha creato un’immagine di circa un terzo dell’intero cielo. Diversi grandi telescopi terrestri attualmente in costruzione, inclusi l’ American-led Large Synoptic Survey Telescope ad El Peñón, Cile (LSST), il Thirty-Meter Telescope a Mauna Kea, Hawaii (TMT), il Giant Magellan Telescope dell’Osservatorio Las Capanas in Cile (GMT), e l’European Extremely Large Telescope dell’European Southern Observatory (ELT), anch’esso nel nord del Cile, documenteranno molto più cielo, catturando oggetti ora estremamente vaghi e fornendo mappe tridimensionali dell’universo con una profondità e un dettaglio senza precedenti. Per inciso, il Cile è spesso scelto a causa della limpidezza del cielo nel suo deserto del nord.

La quantità di dati che queste mappe future genereranno è sorprendentemente ampia. La telecamera sull’LSST, per esempio, genererà terabyte di dati ogni singola notte. Il che corrisponde a un migliaio di volte le informazioni contenute nell’Enciclopedia Britannica. La visualizzazione è ancora più importante proprio nell’epoca dei Big Data quando proviamo a comprendere la complessità derivante dall’estendersi sempre più a fondo della nostra ricerca nel cielo.

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