Giles Harvey

Bob Dylan dopo il declino

da ''The New York Review of Books''

SEAN WILENTZ,Bob Dylan in America, New York, Doubleday, pp. 390, $ 28,95

MARCUS GREIL,Bob Dylan by Greil Marcus. Writings 1968-2010, New York, PublicAffairs, pp. 481, $ 29,95

Sean Wilentz e Marcus Greil, due noti esperti di musica, hanno recentemente scritto dei saggi sull’icona Bob Dylan. Harvey approfitta dell’uscita dei due volumi per ripercorrere le tappe più importanti della carriera del cantante: dalle prime canzoni degli anni Cinquanta ai successi di Subterranean Homesick Blues, Like a Rolling Stone, Ballad of a Thin Man, Desolation Row, Visions of Johanna, fino al “declino” degli ultimi decenni, dovuto forse all’aura di celebrità e sacralità che si era creata intorno.

Bob Dylan, stando all’ultimo libro di Sean Wilentz, testo appassionato e informato (ma in certi punti discontinuo), «ha scavato nel profondo dell’America come mai nessun artista ha fatto». È una frase efficace perché rievoca il modo in cui le canzoni di Dylan (a oggi più di cinquecento) sembrano portare alla luce un’America strana, alternativa, sotterranea, un paese-ombra grottesco fatto di strade polverose e cittadine di frontiera, miniere abbandonate e piantagioni brulicanti, una terra abitata da fuorilegge, vagabondi, giocatori d’azzardo, imbroglioni, vigilantes e fanatici religiosi, per citare solo i cittadini più in vista.

È chiaro che Wilentz, professore di Storia all‘Università di Princeton, ha dovuto fare un bel po’ di ricerche: il suo libro costruisce un sistema di percorsi sotterranei che collegano la musica di Dylan (solo trentaquattro album presi in esame, da quello del debutto del 1962 col titolo preso dal suo nome, a quello particolarmente inusuale dell’anno scorso, Christmas in the Heart) con una vasta gamma di movimenti e personaggi della storia e della cultura americana. Qualcosa del metodo di Wilentz ci viene suggerito dall’epigrafe, tratta da Quando lessi il libro di Whitman: «Qualche cenno, qualche sparso debole indizio, segnali indiretti». Wilentz vede il lavoro di Dylan come una costellazione di accenni e indizi, e ne segue le tracce con una meticolosità maniacale.

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