Questa amministrazione oggi, qui e ora, dichiara guerra incondizionata alla povertà in America. Invito questo Congresso e tutti gli americani a unirsi a me in questo sforzo. Non sarà una lotta breve o facile, non sarà sufficiente una singola arma o strategia, ma non ci fermeremo finché questa guerra non sarà vinta.
– Lyndon Johnson, Discorso sullo Stato dell’Unione, 8 gennaio 1964
Alcuni anni fa, il governo federale dichiarò guerra alla povertà, e la povertà ha vinto.
– Ronald Reagan, Discorso sullo Stato dell’Unione, 25 gennaio 1988
Lyndon Johnson divenne presidente degli Stati Uniti nel novembre 1963. Nel gennaio 1964 impegnò gli Stati Uniti nella guerra alla povertà. In agosto cercò e ottenne l’autorizzazione per espandere l’impegno nella guerra in Vietnam. Naturalmente, la Guerra alla Povertà era solo una figura retorica – una promessa politica ed economica, non una guerra in cui i ragazzi sarebbero tornati dentro sacchi di plastica. Ciononostante, la maggior parte degli americani guarda indietro alle due guerre come fallimenti simili. Entrambe hanno avuto una parte esemplare nella disillusione nei confronti del governo che ha portato al rimodellamento della politica americana a partire dagli anni ’70. A una domanda su cosa pensino della Guerra alla Povertà, gli americani sono ora due volte più propensi a dire di essere «sfavorevoli» piuttosto che «favorevoli». In un sondaggio, dati quattro modi alternativi di descrivere quanto la Guerra alla Povertà abbia in effetti ridotto la povertà, il 20 per cento ha scelto «molto», il 41 per cento ha scelto « poco», il 13 per cento ha scelto «per nulla» e il 23 per cento ha risposto «le cose sono peggiorate».[1]
Legacies of the War on Poverty è una raccolta di nove studi, curata da Martha Bailey e Sheldon Danziger, che valutano i successi e i fallimenti delle diverse strategie che Johnson e i suoi successori hanno adottato per ridurre la povertà. I capitoli sono corredati di dati, danno giudizi assennati e assegnano una percentuale più alta al successo rispetto al fallimento di quanto non facciano i sondaggi di opinione.
Prima di discutere le specifiche strategie anti-povertà, comunque, devo far rilevare una mancanza importante in Legacies. La Guerra alla Povertà fu più di un semplice insieme di programmi, era la scommessa di Johnson per guadagnarsi un posto nella storia. Egli annunciò un impegno «incondizionato» per fare qualsiasi cosa fosse necessaria per aumentare il reddito dei poveri. Si rese anche conto che nessuno sapeva davvero come eliminare la povertà senza ricorrere a metodi politicamente inaccettabili, come per esempio mandare semplicemente degli assegni a chiunque fosse povero. Quando disse che «non sarà sufficiente una singola arma o strategia», stava avvertendo il Congresso e il Paese che il successo avrebbe richiesto tentativi diversi ed errori. Quando aggiunse che «non ci fermeremo finché questa guerra non sarà vinta», stava promettendo che anche se alcune delle sue prime iniziative avessero fallito, non avrebbe tagliato la corda, ma avrebbe invece ulteriormente cercato qualcosa.
Johnson sapeva anche che avrebbe lasciato la Casa Bianca prima di avere successo, benché non sapesse che se ne sarebbe andato in soli cinque anni. Inoltre, sapeva che un semplice Discorso sullo Stato dell’Unione non poteva impegnare i suoi successori in futuro. Vincere la guerra alla povertà perciò dipendeva dalla sua abilità nel persuadere il Congresso e i suoi concittadini che eliminare la povertà fosse un imperativo morale. Se fosse riuscito a fare ciò, i futuri presidenti e legislatori avrebbero perseguito la Guerra alla Povertà come fosse una questione di personale interesse politico. Altrimenti, la povertà sarebbe sopravvissuta.
Johnson fu disarcionato dal suo incarico nel 1968, non a causa del fallimento nella Guerra alla Povertà ma per il fallimento nella guerra in Vietnam. I due successivi presidenti, Richard Nixon e Gerald Ford, erano repubblicani che non si erano mai preoccupati molto dei poveri. Tuttavia, a dispetto di ciò, la Guerra alla Povertà continuò dopo che Johnson fece ritorno al suo ranch. I democratici mantennero il controllo del Congresso per altri dodici anni, e molti di loro si sentivano impegnati a ridurre la povertà.
Come risultato, alcuni dei più importanti programmi antipovertà di oggi, come i buoni pasto, il Supplemental Security Income (un reddito minimo garantito per gli anziani e i disabili), e la Sezione 8 di sussidio all’affitto per gli affittuari poveri di case private, furono o lanciati o ampliati enormemente tra il 1969 e il 1980. Se Johnson non avesse messo la riduzione della povertà al cuore dell’agenda politica democratica nel 1964, sarebbe stato difficile immaginare che i democratici del Congresso avrebbero fatto dei programmi antipovertà una priorità politica anche dopo che i repubblicani avevano riguadagnato il controllo della Casa Bianca. Questa è la grande storia riguardo la Guerra alla Povertà, che offre il quadro in cui gli specifici programmi della guerra stessa devono essere valutati.
Dato che la Guerra alla Povertà era un impegno per eliminarla, la misura più ovvia del successo o del fallimento della guerra è quanto il livello di povertà sia cambiato a partire dal 1964. Bailey e Danziger dicono che guardare solo le variazioni del tasso di povertà è un approccio «semplicistico» per valutare la Guerra alla Povertà, e in un certo senso hanno ragione. Se si vuole sapere quanto i programmi come Head Start o i buoni pasto abbiano funzionato, o quanti lavori a tempo pieno abbiano creato, il tasso di riduzione della povertà nel mezzo secolo scorso non è una misurazione adeguata.