RICHARD N. HAASS, Foreign Policy Begins at Home: The Case for Putting America’s House in Order, Basic Books, pp. 195, $ 15,99
BARRY R. POSEN, Restraint: A New Foundation for US Grand Strategy, Cornell University Press, pp. 234, $ 29,95
JOHN MICKLETHWAIT, ADRIAN WOOLDRIGE, The Fourth Revolution: The Global Race to Reinvent the State, Penguin, pp. 305, $ 27,95
JOSEPH STIGLITZ, Reforming Taxation to Promote Growth and Equity, pp. 28, 28 maggio 2014, disponibilie su rooseveltinstitute.org
Negli anni ’30 i viaggiatori ritornavano dall’Italia di Mussolini, dalla Russia di Stalin e dalla Germania di Hitler elogiando il vigoroso senso di obiettivo comune che avevano visto in quei paesi, paragonato a quello che nelle loro democrazie sembrava debole, inefficace e pavido.
Le democrazie oggi si trovano in un periodo analogo di invidia e di sfiducia. I competitor autoritaristici sono raggianti di arrogante fiducia in sé stessi. Negli anni ’30, gli occidentali andavano in Russia per ammirare le stazioni della metropolitana della Mosca di Stalin, oggi vanno in Cina per prendere il treno proiettile da Pechino a Shangai, e proprio come negli anni ’30, tornano chiedendosi perché i regimi autoritari possano costruire ferrovie ad alta velocità apparentemente in una notte, mentre alle democrazie occorrono quarant’anni per decidere alla fine di non iniziare neppure i lavori. La teoria di Francis Fukuyama – quando nel 1989 disse agli occidentali che la democrazia liberale era la forma finale verso cui tutta la lotta politica era diretta – ora appare come un antico manufatto di un periodo unipolare svanito.
Per la prima volta dalla fine della guerra fredda, l’avanzata del costituzionalismo democratico si è fermata. L’esercito ha compiuto un colpo di stato in Thailandia, e non è chiaro se in Birmania i generali consentiranno alla democrazia di mettere radici. Per ogni stato africano, come il Ghana, in cui le istituzioni democratiche sembrano sicure, c’è un Mali, una Costa d’Avorio e uno Zimbabwe, dove la democrazia è in pericolo.
In America Latina, la democrazia ha piantato forti radici in Cile, ma in Messico e Colombia è minacciata dalla violenza, mentre l’Argentina lotta per scrollarsi di dosso il peso morto del peronismo. In Brasile, le milioni di persone che hanno occupato le strade lo scorso giugno per protestare contro la corruzione sembrano non aver avuto impatto sul clientelismo a Brasilia. In Medio Oriente, la democrazia ha un punto d’appoggio in Tunisia, ma in Siria c’è il caos; in Egitto governa l’autoritarismo plebiscitario e, nelle monarchie, l’assolutismo è in crescita.
In Europa le élite politiche continuano a insistere che il rimedio per le preoccupazioni del continente è “più Europa” mentre un terzo del loro elettorato sta dicendo di volere meno Europa. Dall’Ungheria all’Olanda, inclusa la Francia e la Gran Bretagna, la destra antieuropeista guadagna terreno opponendosi all’Unione Europa in generale e all’immigrazione in particolare. In Russia il periodo democratico degli anni ’90 ora sembra tanto distante quanto il breve interludio costituzionale tra il 1905 e il 1914 sotto lo zar.
La recente stretta di mano tra Vladimir Putin e Xi Jinping celebrava qualcosa di più di un contratto di fornitura di gas. Essa annunciava la nascita di un’alleanza tra stati autoritari con una popolazione assommata di 1,6 miliardi di persone nell’ampio spazio Euroasiatico che si estende dal confine polacco fino al Pacifico, dal Circolo Polare Artico alla frontiera afgana.
Questa zona include stati satellite recalcitranti come la Corea del Nord e dispotismi patriarcali come le repubbliche musulmane dell’Ex Unione Sovietica. Essa include anche soggetti meno ben disposti, stati come la Georgia, l’Armenia e la Moldova, i cui popoli aspirano all’indipendenza democratica ma viene loro detto da leader autoritari – citando in parte la lezione che è stata inflitta all’Ucraina – di mettere da parte i loro sogni.
L’Ucraina è il luogo in cui la battaglia per l’influenza tra le democrazie demoralizzate dell’occidente e il crescente arcipelago autoritario dell’Oriente si è avverata. Se all’Ucraina non viene concesso di scegliere il proprio sentiero democratico, alcuni degli stati che confinano con la Russia, e in particolare quelli con minoranze russofone, saranno anch’essi dissuasi dal comportarsi allo stesso modo.
Il conflitto tra autoritarismo e democrazia non è una guerra fredda, ci viene detto, perché ai nuovi autoritarismi manca l’ideologia espansionista tipica del comunismo. Non è così. Il comunismo potrà essere superato come sistema economico, ma come modello di dominazione dello stato è molto vivo nella Repubblica Popolare Cinese e nello stato di polizia di Putin.